lunedì 28 marzo 2016

LE RICCHEZZE DELLA CHIESA



“San Pietro non aveva conto in banca” ha detto papa Francesco I.

Un conto in banca sembrano averlo però molti sotto la mano di Santa romana Chiesa. E anche bello cospicuo, senza contare le proprietà e i beni.

Nell'ultimo conto economico del Vaticano la somma delle quattro realtà principali (Curia, Carità, Città del Vaticano e Santa Sede Pastorale) vale un aggregato di poco inferiore ai 900 milioni di euro in termini di ricavi. Questo include le donazioni dell'Obolo di San Pietro, i pellegrinaggi, i musei e le gestioni immobiliari e finanziarie. Eppure, soltanto dall'8 per mille nel 2013 è arrivato oltre un miliardo di euro con riferimento ai redditi del 2010 (1,15 miliardi nel 2012). Ma l'8 per mille è deconsolidato perché spetta alla Cei, cioè ai vescovi italiani.

Anche lo Ior, si è sempre detto, è una realtà a parte. I paladini più accesi dell'istituto hanno persino negato che lo Ior fosse davvero una banca. Eppure la consistenza complessiva dei depositi su oltre 30 mila conti è stimata in circa otto miliardi di dollari. Quanto allo stato patrimoniale del Soglio, la tenebra si è infittita da quando si pretende che gli immobili ecclesiastici non destinati al culto paghino l'Imu. Dieci anni fa, il cardinale statunitense Edmund Szoka, che al tempo presiedeva il governatorato dello Stato vaticano dopo avere guidato la Prefettura affari economici, si era avventurato in una valutazione autocertificata di cinque miliardi di dollari, ma la modestia è virtù cristiana per eccellenza e gli asset della Santa Sede, pur intaccati dai risarcimenti miliardari ai processi per pedofilia, sembrano di molto superiori.

Ma è più facile che lo Ior passi dalla cruna dell'antiriciclaggio che si arrivi mai a un consolidato del patrimonio pontificio. Gesù pagava le tasse (Matteo, 17, 24). La Chiesa, se può, allontana l'amaro calice.



I Patti Lateranensi comprendevano un Concordato e un Trattato che regolava anche i rapporti finanziari. Il Trattato ristabiliva il principio di "rimborso" per la confisca dello Stato Pontificio e dei beni ecclesiastici che lo stesso governo italiano del 1870 aveva giudicato necessario. Si stabilì così che l’Italia avrebbe versato 750 milioni in contanti e che si sarebbe accollata alcuni oneri come quello di uno stipendio ai sacerdoti "in cura d’anime". Quello stipendio, in parte era fondato sui crediti che la Chiesa vantava verso lo Stato italiano, in parte derivava dalle nuove funzioni pubbliche - come la celebrazione e la registrazione dei matrimoni con rito religioso, aventi però anche validità civile che i Patti attribuivano alla Chiesa. Dunque, le concessioni economiche del 1929, motivo di tanto scandalo per la polemica anticlericale, non erano un "regalo", il frutto di qualche favore "costantiniano", ma la copertura (seppure, solo parziale) di un debito determinato dalle spoliazioni del XIX secolo. È in questa prospettiva storica che andrebbe giudicata la recente revisione dei Patti Lateranensi ad opera del governo non di un democristiano ma di un socialista come Bettino Craxi. In quella revisione, tra l’altro, si supera il concetto, pur del tutto legittimo alla luce del diritto internazionale, di "rimborso" e si instaura quello della contribuzione volontaria della quale lo Stato si limita a fare da esattore.
La Pietà di Michelangelo che è in San Pietro il valore non potrebbe essere inferiore al miliardo di dollari. Solo un consorzio di banche o di multinazionali americane o giapponesi potrebbe permettersi un simile acquisto. Come primo risultato, quel capolavoro eccelso lascerebbe di certo l’Italia. E poi, quell’opera che è ora esposta, gratis, all’emozione di tutti, cadrebbe sotto l’arbitrio di un padrone privato - società o collezionista straricco - che potrebbe anche decidere di tenere per sé, vietandola alla vista di altri, tanta bellezza. Bellezza, poi, che - cessando di dar gloria a Dio in San Pietro - darebbe gloria, in qualche bunker blindato, al potere della finanza, cioè a ciò che la Scrittura chiama "Mammona". Il mondo avrebbe, forse, un ospedale in più nel Terzo Mondo: ma sarebbe davvero più ricco e più umano?



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