martedì 15 marzo 2016

COMA INSULINICO



Forma di terapia ipoglicemica, usata principalmente per il trattamento della schizofrenia e detta anche terapia dello shock insulinico, terapia con shock (termine improprio) o shock ipoglicemico; consiste nell’induzione di una serie di comi, ognuno con durata massima di cinque o sei min.
Talvolta si verificano spontaneamente convulsioni, altre volte si somministra simultaneamente l’elettroshock durante uno o più dei comi indotti.

Lo shock insulinico, inventato da Sakel nel 1932, consiste appunto in questo: iniettare una dose di insulina, tale da mandare in coma il soggetto.

Vi sono poi altri tipi di shock chimico, che hanno lo scopo o di mandare sempre la persona in coma o di provocare un forte attacco epilettico o un trauma profondo. Tra le sostanze che sono state usate, troviamo il cardiazol, l’acetilcolina, l’indoklon e l’etilaldeide.
Lo shock con cardiazol, ideato dal prof. Meduna di Budapest, non ebbe grande successo perché questo tipo di terapia d’urto, permetteva al paziente di ricordare. Solitamente negli altri shock, si verifica una perdita di memoria che qui non avviene. All’iniezione di cardiaziol segue un dolore fisico e psichico intensissimo, così forte da dare al soggetto l’impressione di morte imminente. Il ricordo di questo dolore è ale che nessuno accetta di fare un secondo shock.

Lo shock con acetilcolina produce effetti simili al cardiazol e inoltre provoca un momentaneo arresto cardiaco. Tuttavia uno dei padri della psichiatria italiana, Fiamberti, fece decine di migliaia di shocks acetilcolinici.

Anche gli shock anfetaminici, il pneumoshock, lo shock carbonico (inalazione di CO2) ed il fotoshock hanno avuto la loro fetta di pazienti.

Certamente, tra tutti questi, lo shock con insulina e stato il più utilizzato ed ancor oggi vi sono alcuni sostenitori dell’utilità di questo trattamento.

Kalinowsky (eminente psichiatra che ha operato tra gli anni ’50 e gli anni ’70), propone, come trattamento standard per una donna depressa, la sequenza di 30 elettroshocks e di 50 coma insulinici, negando quanto diceva il maestro e inventore del metodo, Sakel, che indicava in almeno 80, e sino a 150, il numero dei comi insulinici da usare per ogni paziente.
Gli shock insulinici hanno avuto il loro momento massimo di gloria tra il 1932 ed il 1960. Tra i degenti dei  manicomi del tempo, leggendo nelle cartelle cliniche, è possibile trovare persone che hanno subìto anche 100 shock insulinici.

Vi fu infine una specie di gara tra psichiatri su chi riusciva a prolungare più degli altri il periodo del coma. Si passa così dalle 6 ore di coma (classico shock insulinico) alle 12 (Kraulis), alle 20, alle 36 (Bermann).

Manfred Sakel nacque in una famiglia ebrea, il 6 giugno del 1900 nell'attuale cittadina di Nadvorna, nell'allora Impero Austro Ungarico (oggi Ucraina).

A 19 anni, si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia all'Università di Vienna terminando gli studi nel 1925 e specializzandosi poi in neurologia e neuropsichiatria. Nel 1927 iniziò a lavorare come medico presso la clinica neurologica Kurt Mendel del sobborgo Lichterfelde di Berlino, allora conosciuta come "Dr. Glodstein's Sanatorium" e specializzata nel trattamento di disturbi dovuti all'assuefazione e di gravi malattie psichiatriche.

Nel 1930 Sakel scrisse il suo primo articolo, pubblicato sul Berlin Medical Weekly, con il titolo di "A New Treatment for Morphine Addiction", dove descriveva le modalità di somministrazione dell'insulina a soggetti affetti da tossicodipendenza, senza però accennare al coma che essa stessa induceva e ai suoi possibili riscontri terapeutici. Ammise solamente che alcuni pazienti sperimentavano uno shock ipoglicemico, senza alcun riferimento al fatto che fosse stato deliberatamente indotto.

Nel 1933 tornò a Vienna e divenne ricercatore presso la Clinica Neuropsichiatrica dell'università dove si era laureato, ed insieme al Dottor Hans Hoff, iniziò a sperimentare shock ipoglicemici su pazienti affetti da schizofrenia. Quando i risultati furono confortanti, i due medici informarono il direttore della clinica Otto Poetzl, che agevolò notevolmente il Dottor Sakel nel suo intento. Così nell'ottobre del 1933, in collaborazione con Karl Dussik e Christine Palisa, Sakel diede ufficialmente inizio al suo programma di ricerca sulla terapia del coma insulinico.

Nel 1936, quando il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori salì al potere nel paese, fu però costretto ad emigrare negli Stati Uniti, dove divenne ricercatore presso l'Hallem Valley State Hospital.



Tanto più però l'ICT (Insuline Coma Therapy) otteneva consensi, quanto più il comportamento del suo scopritore diveniva ossessivo e megalomane, sfociando in vere e proprie crisi depressive durante le quali vedeva l'esistenza di forze oscure che ostacolavano la sua possibilità di ottenere il premio Nobel per assegnarlo al suo storico rivale Ladislas Meduna. Sakel, di origine ebraica, si sentiva infatti perseguitato delle ideologie di stampo antisemita che si stavano diffondendo ed inoltre nel 1933, venne aggressivamente e pubblicamente criticato in un'edizione del Vienna Medical Weekly dal direttore dell'ospedale psichiatrico viennese Am Steinhof Josef Berze, che sosteneva la completa inutilità e dannosità del trattamento insulinico della schizofrenia.

La sua malattia psichiatrica, diagnosticata ormai come depressione e disturbi della personalità, andò progressivamente peggiorando nel corso degli anni e nel 1950, durante un intervento al Paris World Psychiatry Congress accusò pubblicamente Ladislav Meduna di essersi appropriato delle sue teorie psichiatriche.

M. Sakel continuò ad esercitare la sua professione di medico e ricercatore negli Stati Uniti, dove morì il 2 dicembre 1957 a New York City.

Come racconterà anni dopo il suo allievo Heinz Lehmann, "fu proprio a Lichterfelde che Sakel iniziò a trattare tossicodipendenti con iniezioni di insulina, nel tentativo di migliorare i sintomi provocati dall'astinenza. Uno di questi giovani, ulteriormente affetto da schizofrenia, cadde in un coma ipoglicemico in seguito ad un eccesso di somministrazione di insulina, costringendo Sakel e risvegliarlo con immediate iniezioni di glucosio. La cosa stupefacente fu che al suo risveglio, il paziente mostrava un miglioramento delle condizioni mentali."

Sakel racconterà anni dopo al medico e amico William Karliner, che i pazienti trattati nel 1927 a Berlino ebbero, durante le somministrazioni di insulina, episodi di leggere convulsioni. Infatti, anche se l'intento era stato quello di sedarli, essi mostrarono miglioramenti dopo il termine del trattamento.

Dopo tale esperienza Sakel, avendo avuto l'intuizione di essere su una giusta via di ricerca, tentò di convincere il capo del dipartimento di psichiatria dell'Università di Berlino, Karl Bonhoeffer, a concedere il permesso di trasportare i malati al Charité Hospital (allora uno dei maggiori ospedali universitari della città). Questo progetto non fu però realizzato a causa di una protesta degli altri medici presenti nella struttura, che così bloccarono il lavoro di ricerca intrapreso.

Nel 1930 Sakel riuscì comunque a pubblicare un articolo significativo sul Berlin Medical Weekly con il titolo di "A New Treatment for Morphine Addiction", che descriveva le modalità di somministrazione dell'insulina, senza però accennare al coma che essa stessa induceva.

La sua fama si accrebbe in maniera estremamente rapida, e al termine del primo anno di attività Sakel aveva ben diciassette pazienti in cura con la terapia del coma insulinico. Sulla base di una nuova serie di dati raccolti poté così pubblicare sul Vienna Medical Weekly, tredici articoli a partire dal novembre del 1934.

M. Sakel iniziò ufficialmente gli studi sulla terapia del coma insulinico nel 1933, durante la sua attività di ricercatore presso la clinica psichiatrica dell'Università di Vienna, quando venne ricoverato un uomo di quarantasei anni con comportamenti insoliti ed evidenti sintomi di paranoia. Sakel iniziò la somministrazione di 45 unità di insulina senza però ottenere alcun tipo di risultato.

Il giorno successivo fin dalla mattina aumentò il dosaggio, portandolo così a tre iniezioni ognuna da 40 unità, ottenendo che il paziente si calmasse notevolmente. Entro mezzogiorno all'uomo erano state somministrate complessivamente 50 unità di insulina, provocandogli così uno shock ipoglicemico: l'insulina infatti induce fegato e muscoli a ridurre drasticamente il livello di glucosio nel sangue, privandone anche il cervello, che di conseguenza va in coma.

Dopo questo primo coma indotto, il paziente si svegliò pienamente cosciente e consapevole del suo passato più prossimo, anche se questa situazione di normalità fu di breve durata e l'uomo cadde di nuovo nella malattia.

Il trattamento di insulina fu portato avanti in questo modo per più di tre settimane al termine delle quali sembrò che il paziente avesse subito una completa amnesia; Sakel e i suoi collaboratori dovettero infatti aspettare più di un'ora prima di poter constatare il ritorno completo della memoria del paziente. Nei giorni successivi la terapia del coma insulinico venne portata dunque a termine e il paziente venne giudicato assolutamente normale sotto ogni punto di vista.

Queste somministrazioni continuarono poi su altri pazienti presenti all'interno della clinica, portandoli aggressivamente in una serie di coma profondi e provocando spesso forti convulsioni, che erano probabilmente l'elemento fondamentale della cura stessa.

Tali scoperte rivoluzionarono in maniera profonda il mondo delle cure psichiatriche, portando per la prima volta un barlume di speranza per coloro affetti da schizofrenia, e altre patologie maniaco-depressive.

Il metodo messo a punto dal Dottor Sakel era strutturato in quattro fasi:
Per circa due settimane, da gestire in relazione alla risposta del paziente, venivano somministrate crescenti dosi di insulina con iniezioni sottocutanee, fino all'induzione di uno shock e di uno stato comatoso.
Mantenimento dello stato di coma per più giorni, durante i quali le condizioni del paziente dovevano essere attentamente e costantemente monitorate. Era questo infatti il passaggio più pericoloso, se il battito cardiaco del malato scendeva sotto i 35 battiti al minuto (in condizioni normali se ne hanno circa 70), il rischio era l'insorgere di una crisi epilettica con fortissime convulsioni che potevano condurre alla morte.
Dopo diversi giorni di coma, il paziente veniva lasciato riposare per un tempo che andava dall'uno ai tre giorni.
Infine il paziente, attraverso un processo di graduale diminuzione delle dosi di insulina, veniva riportato allo stato iniziale.
Lo stesso Sakel riassumendo il concetto fondamentale della sua terapia affermò:

« L'esito positivo del trattamento non dipende tanto dalla quantità delle dosi di insulina somministrate, quanto piuttosto dalla corretta conclusione, operata nei tempi giusti, per ogni singolo shock. Vorrei inoltre aggiungere che ero solito pensare che solamente i casi più recenti potessero mostrare una soddisfacente risposta al trattamento. Ma mi sono reso conto successivamente che in alcuni e non in tutti i casi cronici, era possibile ottenere un miglioramento più o meno grande, e questo era ben meritevole come obiettivo»

Manfred Sakel venne nominato per la prima volta al Premio Nobel in Fisiologia e Medicina nel 1938 per il lavoro svolto sul trattamento della schizofrenia con l'insulina. Successivamente ricevette altre cinque nomine fino al 1953. Di queste, in tre episodi, era presente tra gli altri candidati anche lo storico rivale Ladislas Meduna.









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