Si definiscono unioni civili tutte quelle forme di convivenza fra due persone, legate da vincoli affettivi ed economici, che non accedono volontariamente all'istituto giuridico del matrimonio, o che sono impossibilitate a contrarlo, alle quali gli ordinamenti giuridici abbiano dato rilevanza o alle quali abbiano riconosciuto uno status giuridico.
La classe delle unioni civili è molto variegata nel mondo e comprende un'estrema varietà di regole e modelli di disciplina: in particolare, le unioni civili possono riguardare sia coppie di diverso sesso sia coppie dello stesso sesso; il diritto non è rimasto indifferente all'evoluzione dei costumi ed esiste oggi un gran numero di provvedimenti legislativi che disciplinano le nuove unioni.
La rilevanza statistica delle unioni civili, e l'ampio dibattito sulla parità dei diritti tra eterosessuali ed omosessuali promosso dagli attivisti LGBTQ, ha fatto sì che numerosi Paesi si siano dotati, negli ultimi anni, di una legislazione per riconoscere e garantire diritti per i componenti dell'unione. Nell'Unione europea il quadro relativo alla legislazione sulle convivenze è oggi molto variegato:
Certi Paesi hanno adottato l'unione registrata, chiamata anche partnership o coabitazione registrata, che garantisce specifici diritti e doveri anche alle coppie dello stesso sesso oltre che alle convivenze formate da uomo e donna. I diritti e doveri possono essere identici, lievemente diversi o molto diversi da quelli delle coppie normalmente sposate. La registrazione è a volte aperta anche alle coppie etero non sposate; è il caso della Geregistreerd Partnerschap, unione registrata approvata nei Paesi Bassi, e del PACS ("Patto civile di solidarietà") approvato in Francia. In alcuni casi invece l'unione civile è ammessa esclusivamente per coppie omosessuali.
Altri Paesi hanno scelto di regolarizzare le unioni civili con la coabitazione non registrata, con la quale alcuni diritti e doveri sono automaticamente acquisiti dopo uno specifico periodo di coabitazione.
Alcuni Paesi europei - tra essi Paesi Bassi, Belgio e Spagna - oltre ad aver approvato il riconoscimento giuridico delle coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali.
L'Ilga (International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association) ogni anno pubblica una classifica relativa ai diritti delle persone Lgbt in Europa. Nel 2015 su 49 paesi l'Italia è al 34º posto ed al 22% come rispetto dei diritti umani delle persone lgbt.
Nell'Unione Europea la questione delle unioni civili è entrata spesso a far parte di direttive riguardanti uno dei principi cardine dell'UE: Tutti i cittadini dell'Unione hanno gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro origine, nazionalità, condizione sociale, dal loro credo religioso o orientamento sessuale. Già dal 1994 la Comunità Europea, infatti, ha emanato una risoluzione per la parità dei diritti dei gay e delle lesbiche. Un'iniziativa sintomo di quel generico favor che l'Unione mostra di nutrire nei confronti degli omosessuali. Nonostante, ad oggi si tratti ancora di una declaratoria avente un valore eminentemente politico, il Parlamento ha ribadito in più occasioni il suo convincimento. Così, nella Raccomandazione del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell'Unione Europea, esso chiese agli Stati membri di "garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali". In epoca più recente, la Risoluzione del 4 settembre 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione Europea, il Parlamento ha rinsaldato le sue posizioni. Oltre alla richiesta, già formulata, di favorire il riconoscimento di coppie delle coppie di fatto, eterosessuali od omosessuali esse siano (punto 81), ha sollecitato gli Stati membri ad attuare il diritto al matrimonio e all'adozione di minori da parte di persone omosessuali (punto77). La problematica situazione del riconoscimento giuridico delle coppie de facto sussiste poi se considerata in rapporto agli Accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone.
L'Italia non ha attualmente una legislazione effettiva per le unioni civili. Si parla pertanto di "coppia di fatto" in quanto non riconosciuta giuridicamente. Ciò non significa, tuttavia, che una unione stabile, sia pure "di fatto", non faccia sorgere in capo ai conviventi diritti e doveri. Il quadro è però frammentario, nel senso che i diritti e doveri non sono omogenei, non derivano da una normativa unitaria ed omogenea, come nel quadro del matrimonio, ma sono frammentari e soltanto quelli previsti da specifiche leggi.
Una differenza fondamentale tra matrimonio e coppia di fatto riguarda l'eredità: se uno dei coniugi muore, l'altro ne è erede per legge, mentre nel caso di coppia di fatto un convivente non è erede dell'altro, a meno che non sia nominato nel testamento. Tra i conviventi, infatti, non esiste alcun diritto legale alla successione. Naturalmente il convivente può essere nominato erede, come qualunque altra persona, per testamento. L'inconveniente di tale soluzione, però, è che per testamento si può disporre solo di una quota del proprio patrimonio, chiamata appunto "disponibile". Se si hanno parenti stretti (figli, coniuge separato, genitori in assenza di figli), questi hanno diritti su parte del patrimonio, e potrebbero chiedere la "legittima", cioè la parte che spetta loro del patrimonio del defunto a prescindere dalla sua volontà diversamente espressa, quindi una disposizione in favore del convivente verrebbe ridotta.
I primi disegni di legge in proposito furono presentati nel 1986, grazie all'"Interparlamentare donne Comuniste" e ad Arcigay (associazione per i diritti degli omosessuali), la prima proposta di legge (mai calendarizzata) fu presentata da Alma Agata Cappiello, avvocato e parlamentare socialista, nel 1988.
Dagli anni novanta è aumentato il numero di proposte di legge per disciplinare le unioni civili presentate sia alla Camera che al Senato, così come sono diventati pressanti gli inviti del Parlamento Europeo alla parificazione dei diritti di coppie gay e coppie eterosessuali.
Sin dall'inizio, il dibattito politico ha registrato da parte della Chiesa cattolica forti obiezioni ed aspre critiche all'adozione di una legislazione per le unioni civili.
Durante il Governo Prodi II è stato discusso alla Camera dei deputati un disegno di legge di Franco Grillini, che richiama i PACS francesi, teso a regolamentare le unioni anche tra individui dello stesso sesso.
A livello locale, il movimento LGBT, ha chiesto in diverse città italiane di istituire registri delle unioni civili. La registrazione anagrafica della convivenza ha solo un significato simbolico, a meno che il singolo Comune non decida di aggiungere al valore simbolico dell'unione diritti reali (ad esempio, accesso agli alloggi popolari).
I primi comuni a dotarsi di un registro furono Empoli (nel 1993) e Pisa (nel 1996): attualmente sono molto numerose le città italiane che si sono dotate di un registro anagrafico delle unioni civili.
Alcune Regioni italiane hanno approvato statuti che sarebbero favorevoli ad una legge sulle unioni civili, anche omosessuali: la Calabria (6 luglio 2004), la Toscana (19 luglio 2004), l'Umbria (2 settembre 2004) e l'Emilia-Romagna (14 settembre 2004).
La maggior parte degli statuti si rifà alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che all'articolo 9 sancisce, tra i diritti fondamentali della persona, il "Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia".
Il secondo Governo Berlusconi (2001-2006), di centro-destra, ha impugnato per presunta illegittimità costituzionale gli statuti della Toscana, dell'Umbria e dell'Emilia-Romagna: i primi due ricorsi sono stati respinti.
La Spezia nel giugno 2006 è il primo comune italiano che ha deciso di aprire agli omosessuali il registro delle unioni civili. La mozione è stata votata da 23 consiglieri comunali su 30. Questo provvedimento determina l'equiparazione amministrativa delle coppie di fatto (diritto alle case popolari, etc.).
L'8 febbraio 2007 il governo italiano ha approvato un nuovo disegno di legge che prevede i riconoscimenti delle unioni di fatto, non sotto la denominazione comune di PACS, bensì di DICO. Visti i problemi numerici al Senato, ed alcuni problemi di ordine tecnico giuridico, un comitato ristretto della commissione giustizia che ha come relatore il senatore Cesare Salvi (Sinistra Democratica), ha elaborato una nuova proposta di legge sul CUS (contratto di unione solidale). Questa proposta di legge, aperta a tutte le coppie etero e gay, verrebbe stipulata davanti al giudice di pace o dal notaio. Quest'ultimo comunicherebbe l'atto al giudice di pace, dove verrebbe trascritto in un pubblico registro. La caduta del Governo Prodi ha decretato, di fatto, il fallimento della proposta di legge.
Il 17 settembre 2008 il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta ha proposto un riconoscimento sia per coppie eterosessuali che per coppie omosessuali chiamato DiDoRe (DIritti e DOveri di REciprocità dei conviventi). La proposta è stata presentata alla Camera dei Deputati l'8 ottobre 2008 ed è assegnata alla II Commissione Giustizia, che non l'ha mai esaminata.
Nel XVIII legislatura è stato presentato un testo unico d'iniziativa parlamentare giornalisticamente noto come "DDL Cirinnà", dal nome della proponente, la senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà, che prevede l'istituzione delle unioni civili per le coppie omosessuali con diritti e doveri identici a quelli previsti per il matrimonio civile, eccetto le adozioni, ma comprendente la stepchild adoption, ovvero la possibilità di adottare il figlio del partner.
Il 27 ottobre il Consiglio di Stato boccia la trascrizione delle nozze gay celebrate all'estero. La notizia ha suscitato molto scalpore poiché il giudice che ha emesso la sentenza, Carlo Deodato, ha condiviso diversi tweet contro la "teoria gender" e contro le nozze gay. Nella sentenza si afferma: «il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell'indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell'atto di matrimonio».
Dopo questa sentenza si ricorda che il prefetto di Napoli ha annullato anche l'atto di nascita di Ruben, bimbo nato da una coppia di due mamme.
Nel 1990 è stata votata una legge per i soli parlamentari che prevede l'estensione dell'assistenza sanitaria per i partner conviventi "more uxorio" da almeno tre anni. La legge così tratta i conviventi come legittimi sposi (Regolamento di assistenza sanitaria integrativa dei Deputati, art. 2, lettera "d"). Ultimamente ai partner di fatto è stato riconosciuto anche la reversibilità della pensione. Tale vitalizio è riconosciuto anche al partner di fatto dei consiglieri regionali.
Anche i giornalisti che iscrivono il/la partner convivente alla Casagit possono beneficiare dell'assistenza sanitaria a pagamento nella stessa forma dei coniugi dei giornalisti.
Nel dicembre 2013 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che il congedo matrimoniale deve essere concesso anche alle coppie omosessuali che abbiano contratto un Pacs. Questa legge è in vigore in tutti gli Stati europei in cui il matrimonio è precluso alle coppie omosessuali e nei quali però vige il sistema dei Patti civili di solidarietà o le unioni civili.
La sentenza depositata dai giudici di Lussemburgo (causa C–267/12) riguarda un cittadino francese che ha fatto causa al suo datore di lavoro (il Credit Agricole mutuel) prima della legge che in Francia ha regolamentato le nozze omosessuali. La vicenda era alla fine approdata alla Corte di Cassazione francese che a sua volta ha girato la questione alla Corte Ue. E qui gli è stato riconosciuto il diritto di usufruire del congedo matrimoniale e del premio previsto dal contratto collettivo nazionale del Credit Agricole.
In Italia l'azienda Sanitaria di Bressanone ha rifiutato la possibilità di concedere il congedo matrimoniale ad una coppia gay (un italiano ed un austriaco) sposata regolarmente in Austria.
Pur non essendo riconosciuto in Italia il congedo matrimoniale per le coppie omosessuali sposate all'estero sono molte le aziende pubbliche e private che lo riconoscono.
Nel marzo 2015 l'Atac, la municipalizzata dei trasporti romani, ha concesso 15 giorni di congedo matrimoniale all'autista gay dopo l'iscrizione nel registro delle coppie di fatto in Campidoglio: era successo anche a Palermo pochi mesi prima, stessa situazione. L'università di Bologna Alma Mater ha fatto altrettanto con tre diversi docenti.
In seguito è stato il Massimo di Palermo ad accordare, primo teatro in Italia, permessi matrimoniali ai suoi dipendenti, per nozze o unioni civili. È una pratica ormai consolidata in Dhl (qui basta il certificato di convivenza rilasciato dal Comune, anche in assenza di Registro), Ikea (che prevede pure permessi familiari per occuparsi dei figli non biologici, basta il certificato anagrafico di convivenza), Servizi Italia e Call & Call, Telecom e Intesa San Paolo.
Nel novembre del 2015 anche la multinazionale Synlab ha firmato un accordo sindacale che prevede permessi per decesso o grave infermità del partner, aspettativa per gravi motivi familiari, congedo matrimoniale. L'accordo, però, è stato firmato solo dai sindacati autonomi Cobas e Cub, ma non da Cgil e Cisl. La Cisl si sarebbe sfilata affermando che: «Con tutti i problemi che abbiamo in questo momento, non sembrava un argomento prioritario. Preferiamo attendere una legge nazionale alla quale ispirarci». Anche la Cgil pur mostrando inizialmente adesione all'iniziativa, poi i delegati si sono defilati. Alla domanda perché la Cgil si è tirata indietro, i responsabili hanno accusato «l'azienda di aver dato un'accelerazione improvvisa e incomprensibile alla trattativa».
Dare ordine e forma giuridica ai diritti delle persone che compongono coppie dello stesso sesso, ma senza alcuna sovrapposizione con l’istituto del matrimonio, né alterando con problematiche costruzioni giuridiche la relazione tra genitori e figli: ci sono punti fermi, antropologici e sociali molto prima che legali, sui quali ogni manipolazione può rivelarsi artefatta e avventurosa. Lette in sequenza, le dichiarazioni ai mass media di esponenti della Conferenza episcopale italiana, interpellati sul disegno di legge Cirinnà in discussione nell’aula del Senato dal 26 gennaio, contengono sempre questi concetti, senza stonature.
A ribadire la posizione della Chiesa italiana è tornato il segretario generale monsignor Nunzio Galantino, che in un’intervista ha ricordato come «quello delle unioni civili è inevitabilmente un tema che sta toccando la politica, mi piacerebbe che venisse affrontato con serietà e non in maniera ideologica. Lo Stato deve fare il suo mestiere e garantire ai singoli i propri diritti ma questo non può andare a scapito della famiglia composta da padre, madre e figli. Bisogna cercare di non fare confusione cercando di annacquare la realtà della famiglia così come la Costituzione la presenta. La famiglia non è un bene della Chiesa ma della società. E la società, quando è seria, i suoi beni li deve custodire».
Parole in continuità con quelle pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco il giorno dell’Epifania: «Nessun’altra istituzione deve assolutamente oscurare la realtà della famiglia con situazioni similari» – aveva detto il presidente della Cei –, perché questo «significa compromettere il futuro dell’umano. Nessun’altra forma di convivenza di nucleo familiare, pur rispettabile, può assolutamente oscurare o indebolire la centralità della famiglia, né sul piano sociologico né sul piano educativo. La Chiesa conferma la propria profonda convinzione verso la famiglia come il grembo della vita umana» e «prima fondamentale scuola di vita, di umanità, di fede di virtù civiche, umane e religiose. Questa è l’esperienza universale che la Chiesa difende in ogni modo, per amore dell’uomo, della vita e dell’amore».
È ancora con una sua voce ufficiale – il direttore dell’Ufficio famiglia don Paolo Gentili – che la Cei aveva fatto presente la sua posizione: «Non abbiano nulla contro il riconoscimento dei diritti individuali delle persone omosessuali, come poter andare a visitare il partner in ospedale o in carcere o decidere quale parte di patrimonio lasciargli in eredità – aveva detto Gentili in un’intervista –, ma un conto è un Paese che mira al futuro, e quindi investe sulla famiglia reale, un altro è un Paese che si preoccupa solo dei diritti di alcuni gruppi». Quanto al ddl Cirinnà, «ha fatto passi interessanti nella distinzione tra matrimonio fra uomo e donna e l’unione civile definendo quest’ultima "formazione sociale specifica"» ma nella bozza «vi sono diversi rimandi al diritto matrimoniale». L’equiparazione alle nozze è «inopportuna e inutile», così come la stepchild adoption è «inammissibile». Occorre invece che «la politica ascolti di più la famiglia reale, quella che quotidianamente incontriamo nei diversi luoghi della vita vera e che, senza troppe chiacchiere, si fa concretamente carico di bambini, anziani e malati». È infatti «tutta l’impostazione da capovolgere: da un’attenzione concentrata su piccoli gruppi alla capacità e alla volontà di rispondere al sentire e alle esigenze dei milioni di famiglie che costruiscono e sostengono il Paese». Ma non è detto che il dissenso sulla legge così com’è debba esprimersi in una nuova manifestazione di piazza (della quale peraltro sinora non sono noti né il giorno né gli animatori): «Più che creare singoli eventi, che di per sé possono anche essere importanti, questo scenario ci chiede, come insegna papa Francesco, di avviare e curare un processo che sappia risvegliare nei politici uno sguardo globale sulla realtà».
Ai più piccoli, quasi sempre ignorati nel dibattito sulla legge, ha invitato a guardare il presidente della Commissione Cei per la famiglia, il vescovo di Trapani Pietro Maria Fragnelli: «La sensibilità nei confronti del bambino, non solo dei cattolici ma di ogni sano esperto di psicologia, dice che ha diritto alla rappresentanza maschile e femminile, del padre e della madre – ha detto alla Radio Vaticana –. Quindi su questa materia bisognerà ancora confrontarsi, non rimanere in situazioni grigie che si servono del bambino per questioni – se vogliamo – più di potere da affermare, piuttosto che di servizio da offrire».
Anche perché in gioco c’è la dignità della donna. A ricordarlo è il cardinale Gualtiero Bassetti, dichiara che «anche se in modo indiretto la stepchild adoption apre una porta all’utero in affitto. Questa pratica mi sembra una scorciatoia barbara e umiliante per la donna, oltre che gravida di conseguenze per i figli. Cerchiamo di riconoscere la libertà di chi convive senza però sconvolgere un patrimonio antropologico millenario».
«Noi crediamo che il figlio non sia un "diritto" – incalza il cardinale Edoardo Menichelli, in un'intervista –, perché così diventerebbe in qualche modo un figlio-proprietà». E se sui diritti delle persone si può «trovare il modo di rispondere a certe esigenze», come previsto «già nel nostro diritto civile», ci sono tuttavia altre urgenze per il tessuto sociale del Paese: «Si avverte il bisogno impellente di intervenire su una materia che riguarda un numero limitato di persone – nota Menichelli con amarezza –, e si fa poco per aiutare la famiglia... Le unioni civili non mi sembrano una priorità».
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