In un sistema che vive di televisione e di apparenza, la persona vanitosa finisce per farsi invitare a tutte le trasmissioni dove esibisce se stessa, sconcerta, stupisce e fa audience. E spesso acquista così un grande potere di influenzare l'opinione pubblica. Ma effetti ancora più pericolosi ha la vanità quando entra in politica. Molti personaggi della politica, pur non valendo niente, pur avendo la testa vuota o piena di fantasie hanno - come dice il dizionario alla voce «vanità» - un «fatuo compiacimento di sé e delle proprie capacità» che li rende invadenti, arroganti, presuntuosi. Soprattutto quelli che emergono come capi carismatici dai movimenti collettivi hanno di solito una smisurata energia e una smisurata vanità. Essi vogliono comandare e ci riescono, trascinandosi dietro la gente arrabbiata con un linguaggio truculento e facendole promesse mirabolanti.
La voce «vanità» = Fatuo compiacimento di sé e delle proprie capacità e doti, reali e presunte, accompagnato da ambizione, da smodato desiderio di suscitare plauso e ammirazione. L'aggettivo «fatuo» indica un giudizio di inconsistenza, di superficialità, di cosa sciocca. Anche l'invidioso è ambizioso, ma si confronta con qualcuno che considera superiore. Si identifica con lui, lo prende a modello, vuole superarlo, pensa di riuscirci ma fallisce. Sconfitto, sta male e vorrebbe che l'altro sbagliasse. Invece l'altro ha successo e lui si rode il fegato. Allora cerca di svalutarlo, di convincere gli altri che non vale, lo critica, lo denigra, cerca di danneggiarlo. Però, mentre continua a parlarne male, oscuramente sente di ingannare se stesso. E teme che gli altri scoprano il suo inganno e lo accusino di essere un invidioso.
Invece il vanitoso riesce benissimo a ingannare se stesso. Non ha senso critico, si convince di essere superiore, si compiace del suo valore, lo ostenta, gongola. Si guarda allo specchio compiaciuto, dice tutto quello che pensa convinto di essere un grande oratore, un grande pensatore e finisce in questo modo per farsi accettare con i suoi difetti.
Nel linguaggio comune, il termine vanità indica un'eccessiva credenza nelle proprie capacità e attrazione verso gli altri. Prima del XIV Secolo non aveva alcun significato narcisistico, ma era considerata una futilità. Il relativo termine vanagloria oggi è visto come un sinonimo arcaico della vanità, un'ingiustificata vanteria; sebbene il termine gloria oggi ha assunto un significato prevalentemente positivo, in latino il termine gloria (dal quale deriva la parola in italiano) significa approssimativamente vanteria, ed aveva spesso un significato negativo.
In ambito filosofico, la vanità si riferisce ad un più ampio senso di egoismo e superbia. Friedrich Nietzsche scrisse che, secondo lui, "la vanità è la paura di apparire originali: perciò è una mancanza di superbia, ma non necessariamente di originalità". In uno dei suoi aforismi, Mason Cooley disse che "la vanità, nutrita bene, diventa benevola. Se affamata, diventa maligna".
In molte religioni la vanità, nel suo significato più moderno, è considerata come una forma di auto-idolatria, nella quale l'individuo rifiuta Dio per la sua propria immagine, e di conseguenza non gli viene più concessa la grazia divina. Le storie di Lucifero, di Adamo ed Eva, di Narciso e di vari altri accompagnano i protagonisti verso l'aspetto insidioso della vanità stessa. Negli insegnamenti Cristiani la vanità è vista come un esempio della superbia, una dei sette peccati capitali. Questo elenco si è allargato ultimamente con l'aggiunta della vanagloria, considerata un peccato indipendente dalla superbia, e quindi non riconducibile ad essa.
"Vanità, dal lat. vanitas,-atis', astr. di vanus". Vano: vuoto, ma anche inutile, futile, inconsistente, fugace, inane. Più apparenza che sostanza. Quindi la connotazione del termine e dei suoi derivati è negativa.Assenza di corporeità, mancanza di consistenza materiale. Mancanza di efficacia o di utilità. Inconsistenza; fugacità.
Nel comportamento umano, la vanità viene vista come futile e puerile compiacimento di sé; assenza di valori morali; superficialità, mancanza di serietà.
Il Dizionario analogico della lingua italiana spiega la voce Vanità con: "immodestia, civetteria; spocchia; narcisismo, egocentrismo", da cui discendono le "Azioni: farsi bello, pavoneggiarsi, fare il pavone, fare il gallo; fare la ruota, darsi importanza, mettersi in evidenza, mettersi in mostra." Gli aggettivi applicabili alle persone sono in questo caso "vanesio, vanitoso, fatuo, tronfio; pavone, Narciso; smorfiosa, civetta."
Nel suo Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Niccolò Tommaseo pone il termine Vanità (nell'ambito dei comportamenti umani) nell'area semantica della Superbia insieme ad Alterigia, Orgoglio, Disdegno, Presunzione. "La vanità è vana opinione del proprio merito, congiunta alla smania di mettere il proprio merito in cose vane e dappoco. La vanità ha più del ridicolo che i vizii notati viene da leggerezza di mente. Tanto la vanità si distingue dai vizii notati, che in luogo d'essere arrogante, ambiziosa, presuntuosa, altera, superba, la si collega, talvolta, a certa semplicità, a certa grazia; in specialità nelle donne."
Comunemente la vanità è definita come l'eccessivo desiderio di attuare una propria perfetta immagine (perfetta dal punto di vista del soggetto che la ricerca) da esporre al pubblico, o prossimo, o mondo. Nella parlata popolare, alcuni confondono la vanità con l'orgoglio e l'egoismo o la superbia. Ma appartiene più all'area della superficialità che del male. La religione cattolica ad esempio non annovera la vanità tra i vizi capitali, bensì la superbia.
Il concetto della vanità si esprime nella mitologia greca, in modo sintetico e preciso, attraverso la figura di Narciso. Egli, giovane innamorato dell'immagine di sé riflessa nell'acqua del fiume, non può più allontanarsene:
"Contempla gli occhi che sembrano stelle, contempla le chiome degne di Bacco e di Apollo, e le guance levigate, le labbra scarlatte, il collo d'avorio, il candore del volto soffuso di rossore ... Oh quanti inutili baci diede alla fonte ingannatrice! ... Ignorava cosa fosse quel che vedeva, ma ardeva per quell'immagine ..."
... e muore d'amore.
La vanità è sicuramente uno dei difetti più inutili che una persona possa portare con sé: non solo non offre nessun vantaggio pratico (se non una patetica autogratificazione), ma è uno degli ostacoli più grandi alla realizzazione di rapporti umani sinceri e duraturi.
Esistono sostanzialmente due tipi di vanità: la vanità cosciente e la vanità inconscia.
La vanità cosciente è tipica per esempio del miliardario che fa sfoggio della sua ricchezza, sapendo che gli altri lo invidiano, a volte lo temono: la gratificazione nasce dalla constatazione della propria superiorità economica e può trasformarsi negativamente o positivamente (pensiamo a chi dà un sontuoso ricevimento per far sapere a tutti che donerà un milione di euro in beneficenza). L’esempio appena fatto riguarda la ricchezza, ma si possono fare esempi simili per ogni attività umana che presupponga, indirettamente o direttamente, una graduatoria: a scuola il vanitoso si vanta dei suoi voti, nello sport dei suoi risultati ecc. La vanità cosciente è odiosa (soprattutto per chi la subisce), ma almeno ha una sua ragione di essere: produce una gioia effimera, che dura finché la situazione è sostenibile. In assenza di condizioni facilitanti (per esempio successo e/o ricchezza), spesso il vanitoso alterna momenti di grande euforia a momenti di grande delusione, ma, anche nei momenti positivi, l’ostilità delle persone che ha intorno inquina pesantemente la sua vita.
Ben più patetica è la vanità inconscia: individui apparentemente normali (in graduatoria sono a metà classifica, se non in fondo) fanno di tutto per poter apparire migliori di quello che sono, illudendosi di essere ai vertici; quasi sempre barano con sé stessi o con gli altri. Ovvio che prima o poi il bluff non regga e la verità si abbatta su di loro come fulmine a ciel sereno.
Anche il mondo dello sport non è immune dalla vanità: alle corse amatoriali non è infrequente trovare persone che rapinano la coppa destinata al gruppo per poi mostrarla nel salotto di casa propria agli amici non corridori facendogli bere che hanno vinto un’importantissima gara nazionale. C’è gente che vanta il ventesimo posto agli italiani master su una certa distanza, ma tace penosamente il fatto che i partenti erano ventuno ecc.
Ormai dovreste aver capito che si può stabilire un’equazione che vale per tutti quelli che barano sulla propria condizione (arrivando persino a credere alle proprie bugie) per apparire migliori:
la vanità è la gioia degli stupidi.
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