Tragedia sfiorata in via Giacchetti venerdì mattina: la copertura di un lampione si stacca e piomba sul passeggino dove si trova una bimba di due mesi. La boccia di plastica che ricopre la lampada fa un volo di oltre tre metri finendo addosso alla piccina e colpendola sull’addome: fortunatamente non è grave, ma resta ricoverata sotto stretta osservazione medica all’ospedale di Busto Arsizio per le prossime 48 ore.
Il padre della piccina è sotto choc: «Dobbiamo ringraziare la Madonna che ha protetto la mia piccolina e mia moglie: potevano morire entrambe. La boccia è grande quanto mia figlia, che è uno scricciolo, ha due mesi e una settimana, è nata il 30 agosto. Non voglio neppure pensarci: c’è mancato davvero poco perché si consumasse una tragedia. Ma ancora non è finita finché non riporto mia figlia e mia moglie a casa».
L’uomo ha ricostruito l’incidente avvenuto davanti a decine di persone, perché in quell’area venerdì 6 c’era mercato come ogni settimana. La donna accompagna il figlio maggiore alla scuola materna, per poi fare una passeggiata e due chiacchiere fra le bancarelle. Sono quasi le 10.30 quando con la bimba nel passeggino – o meglio nell’ovetto – attraversa la strada, sale sul marciapiede ed è quasi all’angolo del panificio quando la boccia del lampione si stacca: il manufatto di plastica finisce addosso alla bimba colpendola all’altezza delle mani e dell’addome. La madre urla e una moltitudine di persone accorre e chiama il 118, l’ambulanza si precipita. Si corre al pronto soccorso: la piccola non sembra in pericolo di vita e le analisi vengono ripetute a intervalli regolari per verificare che gli organi interni non siano stati lesi. «Mia moglie è sconvolta: io ero al lavoro quando sono stato chiamato e mi sono precipitato da loro. Siamo fiduciosi, ma temo che per lo spavento mia moglie non si riprenderà facilmente e potrebbe anche perdere il latte», spiega l’uomo con dolcezza e apprensione. Ma resta il tarlo rispetto alle responsabilità: «Questo non è il momento delle polemiche e ci saranno tempi e modi. Ma risulta che già in altre occasioni queste bocce dei lampioni si fossero staccate, cadendo al suolo. Tutte le altre volte è andata bene, questa volta no e sarebbe potuto accadere di tutto». LA PREALPINA.
Come è noto agli operatori della Giustizia sono frequenti le controversie in cui i cittadini evocano in Giudizio la Pubblica Amministrazione per i danni subiti a causa ed in conseguenza della omessa vigilanza e manutenzione dei beni pubblici che essa ha in custodia.
Sia in dottrina che in Giurisprudenza si è molto dibattuto sul paradigma giuridico (art. 2043 o art. 2051 c.c.) entro cui inquadrare tale fattispecie di responsabilità.
La tesi tradizionale non riteneva in generale applicabile all’Ente pubblico la presunzione di colpa di cui all’art. 2051 cod. civ, per l’impossibilità tecnica e pratica di operare un controllo efficace sul demanio pubblico,di notevole estensione ovvero oggetto di uso generale e diretto da parte dei cittadini (Cass. 28/10/1998 n. 10759).
In seguito si è incominciato a far strada l’orientamento, maggiormente conforme al dato normativo, che configura in capo alla P.A.,relativamente ai danni occorsi a soggetti terzi,la responsabilità ex art.2051 c.c., in base alla considerazione che limitare aprioristicamente la responsabilità della P.A. per danni subiti dagli utenti di beni demaniali alla sola ipotesi della presenza di insidia e trabocchetto, non trova alcuna base normativa nella lettera dell’art.2043 c.c. e rappresenta una indubbia posizione di privilegio per la parte pubblica.
Un esame dello stato dell’arte della Giurisprudenza della Suprema Corte in materia evidenzia ormai a chiare lettere il definitivo abbandono della tradizionale ricostruzione legata alla individuazione della responsabilità della P.A. solo in caso della sussistenza di insidia o trabocchetto,essendo ora la materia disciplinata con il richiamo alla responsabilità custodia ex art.2051 c.c., orientamento pienamente condiviso dai giudici di merito.
Il definitivo “cambio di rotta” si è avuto con la più recente Giurisprudenza che, a partire dal 2006,con tre incisive pronunce ha stabilito che la responsabilità per cose in custodia ex art.2051 c.c. risulta non solo configurabile, ma invero senz’altro preferibile rispetto alla regola generale di cui all’art.2043 c.c.
In particolare si è precisato che “ In caso di incidente stradale avvenuto su strada statale la P. A,risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c. dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente manutenzione di strada pubblica di cui è proprietaria (art.14 cod. strada) o custode (tale essendo anche il possessore, detentore o concessionario), in ragione del particolare rapporto con la cosa che le deriva dai suoi poteri effettivi di disponibilità e controllo sulla medesima, salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico essa si liberi dando la prova del fortuito,consistente non già nella interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni – ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo – bensì nella dimostrazione – in applicazione del principio di vicinanza della prova- di aver espletato con la diligenza adeguata alla natura ed alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto,tutte le attività di controllo,vigilanza e manutenzione su di essa gravanti in base a specifiche disposizioni normative, di modo che il sinistro appaia verificato per fatto non ascrivibile a sua colpa…il danneggiato è tenuto a dare la prova della dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia e tale prova può essere data anche per presunzioni, giacchè la prova del danno è di per se indice della sussistenza di un risultato anomalo e cioè della effettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza, non essendo viceversa il danneggiato tenuto a dare la prova della presenza di una insidia e trabocchetto,estranei alla responsabilità ex art. 2051 c.c…” (Cass. 20/2/2006 n. 3651) ed ancora si è stabilito che “ in materia di responsabilità civile da manutenzione di strade pubbliche statali,l’insidia o trabocchetto non è elemento costitutivo dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. sicchè della prova della relativa sussistenza non può onerari il danneggiato,risultandone altrimenti,a fronte di un ingiustificato privilegio della P.A.,la posizione in ammissibilmente aggravata,in contrasto con il principio cui risulta ispirato l’ordinamento di generale favore per colui che ha subito la lesione di una propria posizione soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata a cagione della condotta colposa o dolosa altrui,che impone a chi questa mantenga di rimuovere o ristorare,laddove non riesca a prevenirlo,il danno inferto. A tale stregua l’insidia ed il trabocchetto può ritenersi assumere semmai rilievo nell’ambito della prova da parte della P.A. di avere,con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa ed alle circostanze del caso concreto,adottato tutte le misura idonee a prevenire che il bene demaniale presenti per l’utente una situazione di percolo occulto ed arrechi danno,al fine di far valere la propria mancanza di colpa” (Cass. 14/3/2006 n. 5445, Cass. sentenza n. 4234/2009; Cass. n. 5445/2006; Cass. sentenza n. 8847/2007, quest’ultima specificando che “allorquando sia accertato il pericolo stradale non segnalato dalla Amministrazione proprietaria,erra il giudice che concentra l’indagine esclusivamente sulla possibilità per l’utente di prevedere la situazione di pericolo,senza rivolgere alcuna imprescindibile attenzione alla condotta omissiva della Amministrazione …”).
Quanto poi alla effettiva sussistenza in concreto della possibilità della custodia,si è affermato che quest’ultima debba essere indagata con riguardo alla estensione della strada, alle sue caratteristiche, alla posizione,alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano,agli strumenti che il sistema tecnologico appresta,rilevando ancora, quanto alle strade comunali,come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all’interno del centro abitato (Cass. sentenza n. 3651/2006; Cass. sentenza n.15384 /2006; Cass. sentenza n. 11466/2003), principio che vale tanto per i piccoli Comuni quanto per i grandi centri abitati che hanno attuato la cd. zonizzazione (Cass. sentenza n.1691/2009).
Infatti la localizzazione della strada all’interno del perimetro urbano,dotato di una serie di altre opere di urbanizzazione e più in generale di pubblici servizi che direttamente o indirettamente sono sottoposti ad attività di controllo e vigilanza costante da parte del Comune,denotano la possibilità di un effettivo controllo e vigilanza della zona,per cui sarebbe arduo ritenere che tale attività sarebbe oggettivamente impossibile in relazione al bene stradale.
E’ stato allora condivisibilmente affermato dalla Suprema Corte che,ai fini della possibilità di custodia “…le peculiarità vanno individuate non solo e non tanto nella estensione territoriale del bene e nelle concrete possibilità di vigilanza su di esso e sul comportamento degli utenti, quanto piuttosto nella natura e nella tipologia delle cause che hanno determinato il danno: secondo che esse siano intrinseche alla struttura del bene sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode ( quali,in materia di strade, l’usura o il dissesto del fondo stradale,la presenza di buche,la segnaletica contraddittoria o ingannevole),o che si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi,non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (perdita di olio ad opera del veicolo di passaggio,abbandono di vetri rotti,ferri arrugginiti, rifiuti tossici od altri agenti offensivi). Nel primo caso è agevole individuare la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. essendo il custode sicuramente obbligato a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza…nel caso di specie la causa dell’incidente occorso. è indubbiamente ravvisabile in un difetto strutturale della strada, conosciuto o conoscibile a priori dal custode, consistente nella presenza di una segnaletica ingannevole, tale da far individuare una responsabilità del custode per pericolo stradale non segnalato, indipendentemente dalle altrui modalità d’uso,di cui l’ente territoriale non poteva ignorare la esistenza e che avrebbe dovuto eliminare” (Cass. n. 15042/2008; Cass. n. 12449/2008; nello stesso senso da ultimo Cass. n. 6537/2011).
Sotto altro aspetto, afferente in particolare al comportamento del cittadino che utilizza il bene demaniale, si è incisivamente osservato che l’utente pone un ragionevole affidamento nella integrità e percorribilità del bene, affidamento più giustificabile laddove non si tratti di strada “campestre” ma di strada e connesse pertinenze del centro urbano,quindi presumibilmente oggetto di maggiore vigilanza e controllo da parte del Comune (cfr. Morlini, La responsabilità della Pubblica Amministrazione per sinistri stradali, in Giur. Merito 2001,1281).
A conforto di tale assunto si stabilito che “ E’ ravvisabile una responsabilità dell’Ente proprietario e gestore di strade pubbliche ai sensi dell’art. 2051 c.c. per l’evento lesivo cagionato a terzi per non aver provveduto a rimuovere le anomalie presenti nella sede viaria,per giunta del centro urbano,dovendo affermarsi la sussistenza del rapporto di causalità tra la cosa (strada cittadina) e l’evento danno,posto che la caduta a terra è stata causata dalla presenza di pietre basculanti e non può sostenersi che il fatto lesivo possa essere ricollegato ad un difetto di attenzione del terzo nel camminare dal momento che l’affidamento normale del pedone,quantomeno in una strada del centro cittadino,nel senso che la strada sia integra e non sconnessa”.
Ed ancora si è avuto modo di precisare che “ Essendo ormai definitivamente disconosciuta la categoria giuridica della insidia e trabocchetto,che si risolveva in un ingiustificato aggravio dell’onere probatorio per il danneggiato,il Comune,quale custode tenuto all’obbligo di manutenzione, deve rispondere ex art.2051 c.c. per i danni subiti da un pedone a seguito di una caduta derivante da una buca o avvallamento presenti sulla strada” (Trib. Palermo 13/7/2010 n. 3407, in De Jure), nonché si è ulteriormente precisato che “E’ configurabile un obbligo di custodia della cosa pubblica e conseguentemente una responsabilità ex art.2051 c.c. nel caso di bene di entità circoscritta ed ubicato in zona cittadina centrale, quale un marciapiede, essendo detto bene suscettibile di costituire oggetto di una attività di controllo e vigilanza” (Trib. Venezia 2/2/2010 n. 917, in De Jure).
Siamo relativamente “ricchi” quanto a beni privati, ma poverissimi, soprattutto nel confronto con gli altri paesi europei, per quanto riguarda i beni pubblici. Se non si interviene, il divario fra ricchezza privata e povertà pubblica è destinato ad accrescersi, danneggiandoci tutti.
Alla politica il tema non sembra interessare, ma ai cittadini dovrebbe invece interessare parecchio, perché dallo stato dei beni pubblici dipende il nostro benessere complessivo.
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In Italia, dice Luciano Gallino, esiste un divario immenso fra ricchezza privata e povertà pubblica. “Con 29.2 dollari di reddito pro capite, calcolati a parità di potere d’acquisto, l’Italia è uno dei paesi più ricchi del mondo. Il suo reddito è quasi uguale a quello di paesi sicuramente benestanti, come la Svezia, la Francia, il Regno Unito e la Germania. Ed è appena duemila dollari sotto il ricco Giappone, tremila sotto la ricchissima Svizzera.
E’ vero che a causa delle forti disuguaglianze nella distribuzione del reddito disponibile un quinto della popolazione italiana se la passa piuttosto male; ma i quattro quinti restanti se la passano piuttosto bene, e il quinto più ricco di questi se la passa magnificamente.
Se tutto ciò distingue in meglio l’Italia, in peggio la distingue il povero stato dei beni pubblici. Fare confronti tra noi ed i paesi sopra nominati è persino umiliante. Abbiamo le peggiori autostrade dell’Unione Europea, insieme con servizi ferroviari di serie B. I metro di Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino … non arrivano in totale a 13 chilometri di lunghezza, meno di un terzo della metro della sola Parigi. Siamo gli ultimi della Unione europea a Quindici quanto a spese in ricerca e sviluppo, numero di ricercatori, brevetti per milione di abitanti. Metà dei nostri edifici scolastici sono fatiscenti. L’università è strozzata dalla mancanza di risorse. Oltre metà del territorio corre un elevato rischio idraulico… Lo stato dei parchi cittadini è in media penoso. In assenza di una politica del territorio, il paesaggio viene distrutto a ritmi senza paragoni nella Unione europea. In un terzo del paese, chiunque gestisca un’attività economica deve includere le tangenti alla criminalità come voce normale del bilancio d’esercizio. Non riusciamo nemmeno a smaltire i rifiuti che produciamo. Quanto ai processi civili o penali, la loro durata è ormai materia da geologi”.
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