sabato 28 novembre 2015

Separazione SI Separazione NO



In un rapporto in crisi, separazione e  divorzio potrebbero sembrare l’unica soluzione.

Ci sono sempre pro e contro in ogni decisione.

Dal punto di vista dei rapporti patrimoniali, la separazione legale produce molteplici e rilevanti effetti, sia per i coniugi stessi che per i terzi che intrattengono rapporti giuridici con almeno uno di essi. La prima conseguenza della separazione, sia di tipo giudiziale che di tipo consensuale, è lo scioglimento del regime di comunione legale dei beni (sempre che i coniugi non abbiano già optato per il regime di separazione dei beni, al momento della celebrazione del matrimonio oppure in qualunque momento successivo), con rilevanti ricadute, ad esempio, sulla garanzia reale su cui fanno affidamento gli eventuali creditori di ciascuno dei coniugi.

Altra inevitabile questione da regolamentare, data la cessazione della convivenza, è quella relativa all’assegnazione della casa familiare. Rinviando la trattazione per l’ipotesi in cui la coppia abbia figli, se non ne ha, la casa familiare non può venire assegnata esclusivamente al marito o alla moglie, a meno che entrambi non raggiungano un accordo sul punto in tal senso. Si dovrà, invece, effettuare un distinguo tra due situazioni: qualora sia di proprietà comune, si potrà richiedere la divisione giudiziale dell'immobile, qualora sia di proprietà esclusiva, rientrerà nella sfera di disponibilità esclusiva del coniuge proprietario. Rimanendo inalterato lo status di coniuge, inoltre, ciascuno di essi avrà diritto a una quota della pensione di reversibilità e, salvo il caso di separazione giudiziale con addebito pronunciata con sentenza definitiva, resterà titolare, altresì, dei diritti successori in caso di sopravvenuto decesso del consorte durante tale fase transitoria del rapporto.

Per quanto concerne, più in generale, la gestione dei rapporti economici tra i coniugi, infine, è necessario trattare separatamente le due forme di separazione legale: in caso di separazione consensuale, i coniugi stipulano autonomamente un accordo da sottoporre successivamente al vaglio dell’autorità giudiziaria tramite l’omologazione. Il contenuto dell’accordo medesimo sarà la disciplina dei loro reciproci rapporti patrimoniali e, in particolare, potrà avere ad oggetto: la divisione di beni comuni, l'assegnazione ad uno dei coniugi di beni di proprietà comune o esclusiva dell'altro coniuge, il riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore del coniuge debole.

Qualora si addivenga, invece, a una separazione giudiziale, l’effetto immediato è solo quello dello scioglimento dell'eventuale regime di comunione legale, mentre i beni restano di proprietà comune ovvero esclusiva dei coniugi, a seconda dei casi e sulla base della disciplina ex art. 179 e ss. del codice civile. Ai sensi di tale norma, ad esempio, i beni da considerarsi “personali” (secondo i criteri delineati dalla disposizione in commento) e i beni il cui acquisto è stato precedente al matrimonio rimangono di proprietà esclusiva del coniuge intestatario. Medesima soluzione si ha, altresì, per l’ipotesi in cui sia stato scelto il regime di separazione legale dei beni, già nel momento delle nozze oppure in un qualunque tempo successivo.

Un particolare aspetto di un evento critico come la separazione, riguarda le situazioni nelle quali, per motivi di carattere economico ed organizzativo non è possibile interrompere la coabitazione contemporaneamente alla separazione.

Ci si ritrova così nella condizione di separati in casa, che può essere vissuta dalla famiglia con modalità differenti e con conseguenze sull’adattamento dei suoi membri molto diverse, a seconda che la decisione di separarsi sia stata maturata in maniera consensuale oppure unilaterale.

Nel caso di separazione consensuale non è detto che la prosecuzione provvisoria della coabitazione corrisponda all’accentuazione della conflittualità all’interno della coppia. Questo aspetto infatti generalmente emerge in corso della separazione legale, nel momento in cui cioè vengono definiti ufficialmente gli accordi economici, abitativi ed inerenti alla frequentazione dei figli. E’ in quest’occasione infatti che si evidenziano le difficoltà da parte degli ex-coniugi di rispettare e di mettere in pratica questi accordi, con il rischio di un aumento della conflittualità. Prima di questo momento la situazione coabitativa, se gestita nel rispetto reciproco non è necessariamente una condizione che accentua il malessere emotivo scatenato dalla separazione.



Purtroppo però questa situazione non è la più verificata. Nella maggior parte dei casi la coabitazione forzata, in caso di separazione non consensuale, è fonte di numerosi conflitti e di aggravio delle tensioni e del malessere emotivo di tutto il nucleo familiare. L’elevata conflittualità tra i coniugi è riconosciuta in diverse ricerche in letteratura come uno dei fattori di rischio più pericolosi ai fini della gestione dell’adattamento familiare all’evento separazione-divorzio. Essa è una potente fonte di stress che può determinare una sorta di logoramento psico-fisico, anche a carico dei figli.

E’ in queste situazioni in fatti che i bambini rischiano più spesso di diventare pretesti per lanciare accuse contro il partner, di essere oggetto di ricatti, di essere coinvolti in dinamiche relazionali disfunzionali e rischiose per il loro benessere emotivo.
Nelle situazioni in cui ci si ritrova ad essere separati in casa è pertanto necessario cercare il più possibile di limitare le occasioni di conflitto, cercando di accordarsi almeno sugli aspetti che riguardano la convivenza e soprattutto evitando di intraprendere discussioni in presenza dei figli.

Se nonostante gli sforzi intrapresi non si riesce in nessun modo a non cadere in argomenti bomba e non è nemmeno possibile trovare nessuna soluzione logistica migliore è opportuno prendere in considerazione l’idea di rivolgersi ad un Centro per le famiglie. Questi servizi diurni, generalmente aperti anche nei giorni feriali, sono finalizzati alla gestione del conflitto intrafamiliare, al fine di assicurare la continuazione del rapporto con entrambi i genitori da parte del bambino, qualsiasi sia la relazione di coppia.



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domenica 22 novembre 2015

ISISFOBIA



Milano non è Parigi, ma i suoi nervi sono abbastanza a fior di pelle. Una tensione che al momento sfoga al massimo in scritte a pennarello (compresa una, offensiva nei confronti dei musulmani, spuntata su due cassette della posta in via Moscova). Ma è nell’aria. Così, sabato sera dopo le 21, quando su un vagone del metrò rosso tre ragazzotti nordafricani sui vent’anni si sono messi a bulleggiare parlando ad alta voce, e gli altri passeggeri, dal loro discorso in arabo, hanno distinto chiaramente e più volte la parola «Isis», a bordo si è prodotto un certo allarme. Al punto che un uomo della sicurezza dell’Atm, quando sono scesi alla fermata Duomo, li ha seguiti e ripresi, spiegando loro che comportandosi così stavano spaventando la gente.

I tre hanno reagito con arroganza, minacciandolo. Uno ha anche mimato un gesto passandosi il pollice sul collo, a significare «ti taglio la gola»: così ha riferito il vigilante alla polizia, che prudentemente ha pensato di avvertire appena il gruppo si è allontanato. Poco dopo, nei pressi della Loggia dei Mercanti, una volante ha intercettato uno dei tre: sui vent’anni e faccia nota alla polizia, per piccoli precedenti accumulati anche da minorenne. Il profilo del bullo, non dell’islamista radicalizzato. È in Italia da molti anni, vive nell’hinterland e frequenta un fast food in zona Colonne di San Lorenzo. I poliziotti l’hanno comunque portato in questura per fare tutti gli accertamenti; dopo l’identificazione è stato denunciato a piede libero per minacce aggravate e procurato allarme.

Per circa mezz'ora le udienze e il resto delle attività sono state sospese poi magistrati, impiegati e personale degli uffici è stato fatto rientrare. Lunghe code si sono formate all'esterno con le guardie giurate che hanno controllato una a una con il metal detector le persone in attesa di raggiungere aule e uffici giudiziari. Secondo gli inquirenti potrebbe essersi trattato di un gesto compiuto da un mitomane.

A far scattare il panico ad Agrigento sono stati invece quattro borsoni abbandonati in piazza Stazione e sulla ringhiera che si affaccia su via Acrone. Il metal detector avvicinato ai borsoni dà segnale d'allarme e per questo motivo è stato richiesto l'intervento degli artificieri di Palermo. In via precauzionale, la polizia municipale e i carabinieri hanno transennato l'area, deviando il traffico su vie limitrofe.



Titoli dei giornali: Allarme in Italia: San Pietro, Duomo di Milano e Teatro alla Scala i prossimi obiettivi dell'Isis; A Sait Denis sparati 5mila colpi, uccisa la mente degli attentati di Parigi; Professore ebreo accoltellato a Marsiglia: c'entra l'Isis; Aereo caduto nel Sinai: l'Isis aveva nascosto una bomba in una lattina; Isis annuncia: uccisi due ostaggi; Studentesse musulmane a Varese saltano il minuto di silenzio per Parigi, il Preside "Non dirigo un centro per il reclutamento di cellule per lo stato islamico".
Potremmo andare avanti, ma ci fermiamo, con il consiglio di riflettere bene su quello che si prende per vero dall'informazione. L'onda anomala dell'Isis, se davvero tutto quello che si legge è ad opera dello Stato Islamico, sta sortendo perfettamente il suo effetto: disseminare una paura fottuta, insieme all'odio per chiunque porti fede islamica, estremizzare la xenofobia europea, gettare benzina sul fuoco di un'Europa - e un Occidente - già in fiamme. Dovremmo  riflettere. Quanti umani conta l'unione europea? Quanti invece lo Stato Islamico? Davvero è ancora possibile che tutto questo non si riesca a fermare? Perché le fonti che dichiaravano gli attacchi alle basi su Raqqa pienamente riusciti sono stati smentiti dallo stesso Stato Islamico che ha dichiarato che la Francia ha bombardato solo luoghi deserti? Che guerra si sta combattendo? Quella di una informazione fallimentare, da tutte le parti, senza dubbio. E che mette al centro del fallimento di politiche di espansione e non solo il comune cittadino.

L’impressione è che alle capacità organizzative e alla determinazione dell’aspirante Califfo Al-Baghdadi corrisponda una ricettività emozionale da parte dell’Occidente, una sensibilità estremamente elevata e tuttavia approssimativa, al limite della psicosi. Un atteggiamento che per orientarsi nella comprensione di un fenomeno – per quanto esso sia oggettivamente serio e preoccupante – tende a enfatizzarne i lineamenti. Insomma, ormai tutto è IS, tutto è Stato Islamico.

Ci conferma questo clima di alienazione il doppio standard con il quale vengono diffusi i video macabri delle esecuzioni, o quelli anche solo disturbanti della distruzione di opere d’arte, e a pochi giorni di distanza la notizia in tono minore che alcuni di quei video sono molto probabilmente dei falsi, e le opere d’arte solo delle copie.

Senza scomodare la sociologia e la psicologia di massa, è ovvio che a questo punto le armate del Califfato sono ormai penetrate nel quotidiano di molti cittadini nonostante il Califfato non disponga, ad esempio, di vere e proprie armate, ma semmai di milizie o singole cellule spesso composte da uno o due elementi. Infatti, uno dei segreti – che poi segreto non è – della rapida diffusione territoriale dell’ISIS è stata la sua capacità di assorbire e annettere realtà e sigle minori già presenti nei vari scenari di guerra.

La strategia di Abu Bakr al-Baghdadi è stata molto lucida: ha iniziato prendendo il controllo dell’organizzazione nella quale militava (una formazione che l’antiterrorismo statunitense era riuscito a decapitare uccidendo il fondatore e i due successivi leader nel 2010) costruendo poi con metodi draconiani la sua leadership, soprattutto incorporando nei nuovi ranghi i membri dell’ex partito baath iracheno che avevano servito sotto Saddam. Ha quindi annesso al nucleo originario piccole cellule jihadiste che già operavano in alcuni teatri: è il caso della Libia, dove a Derna esisteva una formazione che ha adottato la bandiera nera dell’ISIS e da quella testa di ponte tenta ora di estendere la sua minaccia sul territorio che, come si diceva, per convenzione continuiamo a chiamare Libia. Oggi la linea di confine si è spostata più a ovest, ed è a Sirte.

Sotto la guida di Al-Baghdadi l’ISIS ha lanciato, per dirla con linguaggio economico, una OPA sulla jihad globale: il che non significa che i suoi battaglioni conquistino terreno in una guerra convenzionale e simmetrica, quanto piuttosto che suoi agenti e leader locali riescono ad acquisire, come franchising, gruppi armati già attivi e li convertano, o tentino di farlo, sotto le proprie bandiere. Il caso più emblematico è quello siriano, dove l’ISIS di Al-Baghdadi annuncia come la principale fazione ribelle, Al-Nusra, sia da considerarsi in futuro una parte integrante di ISIS e non viceversa. Allo stato attuale, Al-Nusra si ritiene invece una forza indipendente e legata solo alla casa madre Al-Qaeda. Tuttavia, la capitale dell’autoproclamato Califfato è proprio in Siria, ad Al-Raqqa.



Insomma la peculiare ideologia del Califfato, che la stragrande maggioranza del mondo musulmano in primis considera ormai materia per i libri di storia, torna prepotentemente d’attualità dove trova terreno fertile: e cioè nella galassia di piccole sigle che vengono accorpate da una mano più forte sotto un’unica bandiera, e in un Occidente che orfano di Bin Laden e della sua estetica (le grotte, l’Afghanistan, i videomessaggi sobri) enfatizza l’identikit del nuovo Califfo del terrore – ma sarebbe meglio dire emiro – e con esso una nuova estetica (il deserto, la predicazione in moschea, i video in stile hollywoodiano).

Ora l’ISIS potrebbe essere riuscito ad estendere la sua minaccia anche in Tunisia, dove come abbiamo visto è già attivo un gruppo salafita ben organizzato ma dove parimenti lo Stato tunisino è una realtà apprezzabile. Si tratta infatti dell’unico Paese che abbia realmente compiuto un percorso di Primavera araba, dalla cacciata del dittatore alla nuova costituzione.

Ma vedremo anche se in futuro toccherà alla triplice sigla – IS, ISIS, ISIL – il medesimo destino che è capitato alle sigle ad esempio siriane, che al principio della guerra civile erano costantemente evocate e sembravano destinate ad avere voce e ruolo nel futuro del Paese, oppure se si affermerà sempre più come il marchio globale della futura jihad.

Al-Baghdadi è considerato l’erede, per così dire “evoluto”, di Abu Musab al-Zarqawi, il capo jihadista giordano (originario della città di Zarqa) che fondò l’ISIS nel 2004 per poi venir ucciso dagli americani nel 2006. Chiediamoci: l’eventuale soluzione dei conflitti in Siria e in Libia finirebbero per ridimensionare lo Stato Islamico al solo teatro iracheno? Da questa domanda emerge come l’Occidente in particolare, e se vogliamo la comunità internazionale, abbiano una responsabilità nell’ascesa del Califfato immaginario: per avergli permesso di giocare la partita in Siria e Libia; per la palese incapacità, o mancata volontà, di risolvere i problemi dopo averli creati (vedi Libia soprattutto); e infine nel non volersi dare regole deontologiche nel campo dell’informazione, lasciando così l’opinione pubblica in balia della propaganda dell’ISIS che mischia sapientemente verità e finzione.

Il Califfato, in altre parole, è sì sedicente e autoproclamato, ma approfitta dell’imbarazzante vuoto statuale causato dalle lente e contradditorie transizioni di Iraq, Siria e Libia e del palese fallimento delle Primavere arabe o del loro fragile equilibrio, come la Tunisia dimostra.

In conclusione: il Califfato sarà anche posticcio ma la comunità internazionale, su questo dossier, è stata sinora totalmente fallimentare.





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sabato 21 novembre 2015

il Tifo dei Genitori per i Propri Figli



Sfogare le proprie frustrazioni sui figli, trattati come alter ego in grado di restituire l’immagine ideale che non si è riusciti a raggiungere da giovani, contribuisce al capovolgimento della realtà. È profondamente contro natura oltreché immorale caricare di responsabilità un bambino di dieci anni. Che il calcio, almeno in ambito professionistico, sia soltanto una questione di rispetto e fair play è ormai una banalità assodata. Siamo i primi a inveire contro l’arbitro o chiunque ci capiti sotto tiro se qualcuno osa mettere in discussione un principio che riteniamo intoccabile. Siamo i primi a professare eterno amore alla squadra per la quale facciamo il tifo, ma ci sentiamo incompleti se non lo bilanciamo con la necessaria dose di odio. Tornano alle mente striscioni deplorevoli, inneggianti a tragedie del passato, irrimediabilmente sventolati nella loro totale crudeltà davanti agli occhi di un bambino, che non sa e chiede. Invitiamo la negazione della civiltà – impossibile da estirpare perché va a braccetto con l’uomo – a non presentarsi prima del dovuto. L’inalienabile diritto al divertimento deve fungere da prerogativa a discapito della competizione, i settori giovanili sono centri di formazione che hanno come obiettivo la crescita – non solo atletica – della persona. L’ambizione dell’adulto non può agire da scudo contro il momento dell’aggregazione, il bambino va lasciato libero di giocare, di sbagliare, di farsi un’idea personale su ciò che gli ruota intorno senza dover passare dallo stato d’animo del genitore.

I bambini dovrebbero essere lasciati liberi di giocare senza alcuna pressione, con un numero assai esiguo di norme delle quali tenere conto:  rispettare gli altri (compagni, avversari, allenatori, arbitri);  rispettare le regole;  divertirsi. Al riguardo, anche il regolamento dei campionati non è affatto casuale: fino alla categoria Esordienti, undici anni di età, c’è l’obbligo di far giocare tutti i bambini, bravi o scarsi che siano, e non ci sono classifiche ufficiali per determinare chi è forte e chi lo è di meno.

Questo non basta a frenare le ambizioni degli adulti. Ci sono genitori che se la prendono furiosamente con l’allenatore, colpevole di non comprendere quanto sia abile il loro pargolo; altri che offendono e insultano arbitri-ragazzini; altri ancora che scatenano baruffe e perfino risse con papà e mamme avversari. I ragazzi, quasi sempre molto più ragionevoli e maturi, si vergognano per loro. E’ il volto triste del calcio giovanile.

In un campo della periferia romana, accanto alla porta d’ingresso, un dirigente esasperato ha appeso un cartello grande così, scritto con un bel pennarello blu: “Chi ha un figlio campione è pregato di portarlo a giocare da un’altra parte”. Chissà se papà e mamme dei fuoriclasse del futuro lo leggono e, soprattutto, lo capiscono.




Ecco cosa scrive la Figc: “L’approccio educativo del mondo del calcio è troppo spesso uno specchio attraverso cui si riflettono comportamenti ed atteggiamenti degli adulti. Quindi, competitività esasperata, esclusione dei più deboli e dei meno dotati, accentuazione dell’aspetto fisico ed agonistico. Questa Carta, tra i suoi diversi principi, ci ricorda invece quanto sia importante assumere il punto di vista dei bambini. Non solo prestazioni e ansia di vittoria, ma divertimento, partecipazione, festa. E il calcio è il tipico gioco di squadra che può anche far sviluppare il confronto, la cooperazione, lo scambio” .

Chi iscrive il proprio figlio a una scuola di calcio pensando che sia come un qualsiasi corso di nuoto, tennis o qualunque altro sport si rende conto ben presto che è tutta un’altra storia.
I bambini in campo giocano. I genitori ogni sabato e a volte pure la domenica vivono le partite dei figli come fossero squadre di Serie A.  Incitano i propri figli come fossero macchine da guerra. Ognuno dei papà  pensa di avere in campo il talento (inespresso per molteplici motivi…) Educazione, rispetto sportività non sono la regola.  E non sul campo, dove addirittura fino a una certa età non c’è neppure l’arbitro perché i bambini devono fare da soli. Paradossalmente proprio tra coloro che insegnano con il loro comportamento.

I genitori di squadre opposte si guardano in cagnesco (spesso),  Le urla rimbalzano sui piccoli giocatori che:  non possono sbagliare, perdere la palla (peggio) non fare gol portando la vittoria alla loro squadretta.

Andate a vedere un torneo under 10 di tennis. Fanno spavento. Sono alti poco più della rete e tirano certe botte impressionanti, per potenza e precisione. Se di là ci fosse Peppa Pig la vorrebbero morta. Sono prodigiosi in modo tenero e sconcertante. Non sorridono mai. Si allenano fino a sedici ore alla settimana, in quarta o quinta elementare, per quella partita del weekend. E se sbagliano un colpo, spesso vedrete questi Federer e Sharapova miniaturizzati guardare subito papà o mamma. Seduti su quelle tribune dove tanti genitori fanno molto più spavento di loro. "La mia squadra ideale è una squadra di orfani" è la vecchia battuta che gira tra allenatori. Un paradosso, ovviamente, come sono paradossali i casi di genitori aguzzini, disposti a tutto pur di vedere un figlio campione, che finiscono sui giornali. Ma la normalità che non fa più notizia è fatta di risse a bordocampo alle partite dei ragazzini, arbitri insultati e aggrediti, allenatori contestati. Ogni maledetta domenica, e il sabato pure. Qualsiasi istruttore giovanile, di qualsiasi sport, sa che una parte importante e difficile del suo lavoro è "allenare" i genitori.

La linea di campo tra gioco e stress per il bambino è sottile, quanto quella tra il buon genitore che si limita a far capire l'importanza formativa della disciplina e dell'impegno e quello che invece invade, soffoca, s'arrabbia, giustifica, pretende. "L'influenza negativa della famiglia è il nocciolo del problema" dice il pedagogo Emanuele Isidori, docente di etica e filosofia dello sport. "Troppi genitori proiettano sui loro figli le proprie frustrazioni e aspettative, caricandoli di ansie deleterie. Da una nostra ricerca del 2009 risulta che tra gli 8 e i 12 anni la maggioranza dei bambini pratica sport per vincere, come principale motivazione: questo è grave". Il caso Agassi ha fatto letteratura: il suo best seller Open ha alzato un velo sulle torture psicologiche subite dal padre. Lui però almeno è diventato Agassi. Uno su quanti? Nel calcio, in serie A arriva uno su cinquemila. "I genitori più pericolosi e invadenti sono quelli che non si sentono realizzati e hanno meno cose da fare nella vita" sostiene Isabella Gasperini, psicoterapeuta dell'età evolutiva che collabora con varie squadre di calcio. "E in dieci anni la situazione è peggiorata di pari passo con l'aberrazione del calcio professionistico. Senti questi genitori parlare delle partite dei figli come se fosse serie A: la tattica, il mister... Purtroppo avvertire che questi comportamenti fanno solo danni è inutile: sono meccanismi involontari. Quello che cerco di far capire è che i bisogni dei bambini sono diversi dai loro. I bambini accettano l'errore e il fatto che un altro sia più bravo come una cosa naturale, e invece li vedi costretti a impegnarsi per realizzare i sogni dei genitori dietro la rete secondo un loro tacito e insano accordo. Vanno invece lasciati liberi: di sbagliare, di creare, di calciare come gli viene, di sdraiarsi a guardare il cielo se non hanno voglia di correre, di seguire l'istinto. Liberi anche di assumere le proprie responsabilità e di cavarsela da soli, se un compagno gli ha messo le scarpette sotto la doccia ".

Giordano Consolini, responsabile del settore giovanile della Virtus Bologna, uno dei più titolati vivai del basket italiano, osserva: "Ci sono famiglie che combinano disastri. Un esempio: siamo andati a giocare le finali nazionali under 17 con due ragazzi, amici d'infanzia, che non si parlavano più e non si passavano neanche più la palla per questioni di invidie tra famiglie. Roba di convocazioni in Nazionale e premi che uno aveva ricevuto e l'altro no. I due ragazzi li ho messi in camera assieme, ci ho parlato, ho ottenuto che almeno si rispettassero in campo e abbiamo vinto quello scudetto. Ma con le famiglie i risultati sono stati scarsi, non hanno cambiato atteggiamento. Figurarsi quando subentrano anche i procuratori. Purtroppo molti genitori provocano la cosiddetta "sindrome da campione": il ragazzo viene sopravvalutato, si sente già arrivato e si blocca il processo di crescita. Considera che sia tutto scontato e dovuto, pensa solo che gli basti far passare il tempo e andrà nella Nba. È come se entrasse in una realtà virtuale e non considera più l'opzione dell'insuccesso: se arriva una sconfitta la vive come un fattore imprevedibile, non trova una via d'uscita, resta disarmato perché è stato programmato solo per vincere. Ed è difficile a quel punto farsi ascoltare. Perché è più comodo dar retta a chi ti regala un alibi dando la colpa a un altro: all'ambiente, al tecnico, ai compagni, agli arbitri. Il talento non basta per diventare giocatori".

La mala educación tocca l'apoteosi intorno al campo da calcio, dove rispetto ad altri sport il miraggio di ricchezza è più abbacinante. "Quando i genitori vedono il bambino solo come una possibile fonte di guadagno, è finita - dice Devis Mangia, ex ct dell'Under 21 - . Tutti pensano di avere il campione in casa. Quando un ragazzino si comporta male costa meno fatica etichettarlo come piantagrane e abbandonarlo al suo destino, mentre parlandoci si scoprono spesso situazioni famigliari alle spalle che spiegano gli atteggiamenti deviati. Ma, al contrario di quanto si possa credere, non è detto che subisca maggiori pressioni chi viene da contesti culturali e sociali inferiori, dove un contratto da professionista potrebbe rappresentare una svolta per tutta la famiglia". Lo conferma anche Roberto Meneschincheri, responsabile dell'attività agonistica under 16 dello storico Tennis Club Parioli di Roma, il circolo che ha sfornato Pietrangeli, Panatta e Barazzutti: ultimo titolo vinto, il campionato italiano under 12 femminile. "È questione di istinto e carattere, non di denaro o laurea: i genitori troppo pressanti che chiedono ai figli solo il risultato sono molto diffusi. Col dialogo di solito si riesce a ottenere collaborazione, a far capire che non va data troppa importanza alla partita e a evitare così interferenze o intemperanze durante il gioco".

Molte società fissano un decalogo dell'ovvio. Sdrammatizzate, incoraggiate, esaltate i risultati positivi e alleggerite le sconfitte, non entrate in campo e negli spogliatoi, lasciate che la borsa se la portino da soli, non discutete con l'allenatore di schemi e ruoli, rispettate gli arbitri, non parlate male al ragazzo del suo allenatore e dei suoi compagni. Eccetera. Ma il pedagogo Isidori non assolve nemmeno le società: "Dicono pensate a divertirvi ma il messaggio che di fatto viene trasmesso implicitamente dal sistema è un altro: conta solo vincere. Accade perché è completamente sbagliato il modello del Coni: le federazioni per avere soldi devono portare risultati. In Italia manca educazione sportiva perché non esiste lo sport per tutti: gratuito".





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martedì 17 novembre 2015

IL DESIDERIO NEI NONNI



La sessualità rappresenta una energia vitale che accompagna, evolvendosi continuamente, l’uomo per tutto l’arco della sua esistenza. La fase degli over 65/70  non e’ asessuata. Il climaterio maschile e femminile non segna assolutamente il termine dell’attività sessuale.

Una percentuale significativa di persone over 65/70, nonostante la repressione, i condizionamenti, la censura morale, le difficoltà obiettive continua ad avere rapporti sessuali regolari e soddisfacenti. I veri, autentici e sofferti motivi di cessazione dell’attività sessuale sono per la maggior parte di natura PSICOLOGICA e SOCIALE.

La popolazione italiana di ogni livello di età e condizione socio-culturale spesso non ha informazioni corrette sulla fisiologia, la patologia, i bisogni, i desideri e le attese sessuali degli over60. In ogni fase della vita esistono pregiudizi e stereotipi rigidi che hanno un significato, un valore ed un effetto repressivo ed inibitorio nei confronti dell’attività sessuale degli anziani. Negli over60 esiste spesso una immagine deformata e deformante per quanto riguarda le proprie esigenze, bisogni e rapporti.

Negli over 65/70  si mette spesso in atto un MECCANISMO SUBLIMATORIO, perchè risulta troppo grande, per effetto dei condizionamenti socio- culturali, morali, religiosi, la distanza tra la realtà dell’impulso libico e la fiducia nelle proprie capacità sessuali. Non va inoltre dimenticata una connotazione tipica della società odierna: in ogni età della vita esistono due differenti modelli comportamentali, quello MASCHILE e quello FEMMINILE. Il primo relativamente più permissivo rispetto al secondo, entro cui si perpetuano limitazioni e repressioni ancestrali. E’ tradizione culturale considerare la vecchiaia come periodo di rimpianto e di decadenza, tanto a livello di interesse quanto a livello di attività sessuale vera e propria. In questo processo di negazione sociale della sessualità gli over60 trovano poi spazio alcuni stereotipi molto diffusi e cioè la convinzione che:
l’attrazione erotica possa essere suscitata esclusivamente da un corpo giovane ed esteticamente perfetto;
la funzionalità degli organi genitali sia sottoposta alla usura del tempo e vada quindi incontro ad un decadimento in termini di qualità oltre che di quantità;
l’assenza della capacità o di un fine procreativo generi una caduta della pulsione sessuale;
il piacere sessuale rappresenti dopo una certa età più una “perversione” che una sana e naturale esigenza psicofisica, atta anche a contrastare il processo di invecchiamento psicofisico dell’organismo.
Da queste e da altre false credenze deriva spesso una auto-esclusione dell’anziano, che si trova a rifiutare la propria sessualità o a considerarla in maniera clandestina, come se il desiderio o l’attività sessuale fossero debolezze da nascondere o colpe di cui vergognarsi….. da cui le ritirate “strategiche” dall’universo della eroticità.

Dietro il comune ritornello “ormai sono vecchio“, traspare la seduzione della rinuncia, del disimpegno progressivo, che consente di evitare ogni timore di insuccesso o di frustrazione, una vera e propria autocastrazione preventiva.

Per cui la funzione sex (più che dal rallentamento biologico) può essere frenata da come il singolo anziano si percepisce ed inconsciamente si condiziona.

Le difficoltà sono inerenti al problema del cambiamento e pertanto ad una modificata rappresentazione del sé del proprio corpo-involucro cioè quello che viene percepito dall’altro e del proprio vissuto corporeo in quanto oggetto di desiderio ed in quanto soggetto che può ancora desiderare e godere.

E’ evidente che in questa fascia d’età le condizioni fisiologiche dell’organismo sono cambiate sia dal punto di vista emodinamico che metabolico (per esempio frequenza cardiaca, tono muscolare, equilibrio ormonale). Cosi come a livello muscolare le prestazioni fisiche sono in evidente diminuzione, analogamente le performance sessuali risentono delle variazioni fisiologiche della terza età.

Per esempio, alla ipotonia muscolare e riduzione della gettata cardiaca, che determina evidente diminuzione delle prestazioni fisiche, si associa una ipotonia del sistema venocclusivo erettile ed una diminuzione del flusso ematico cavernoso, che creano alterazioni della capacità erettile e della capacità di mantenere l’erezione.



La fase di eccitamento risulta più prolungata e questo in relazione alle diverse condizioni emodinamiche, infatti si nota un significativo ritardo ad ottenere l’erezione (diminuzione flusso ematico cavernoso ed ipotonia venocclusiva); questa puo’ essere parziale o venire perduta facilmente: la risposta erettiva subisce pertanto un rallentamento globale.

Se l’anziano non fosse a conoscenza di questa normale condizione fisiologica, potrebbe essere portato a pensare di essere affetto da impotenza, alimentando il circuito dell’ansia, con la possibilità di uno scatenamento di impotenza secondaria. Per questo motivo i successivi tentativi di forzare la situazione attraverso un controllo cosciente e i reiterati insuccessi portano l’anziano ad esperire l’ansia della prestazione, precludendogli la possibilità di recepire le stimolazioni in modo adeguato. Si riduce così il “potenziale erotico” che lascia spazio ad un “potenziale inibitorio”.

Nella fase di Plateau si notano varianti meno spiccate ma particolarmente significative in quanto sono in grado di rendere vantaggiosi alcuni aspetti dell’invecchiamento.

La durata d questa fase tende a prolungarsi e ciò in relazione ad un rallentamento della conduzione nervosa nei circuiti di controllo erezione/eiaculazione e si osserva un allungamento del tempo di inevitabilità eiaculatoria, che in giovane età costituisce un aspetto preoccupante per la sua precocità: spesso si verifica addirittura una correzione spontanea di una pregressa eiaculazione precoce. L’anziano ha, una volta raggiunta la fase di plateau, delle erezioni più prolungate nel tempo, spesso impara ad avere rapporti sessuali soddisfacenti senza che questi terminino necessariamente ogni volta con l’eiaculazione.

La terza fase , l’esperienza orgasmica, si effettua in un periodo di tempo più breve. Questo fenomeno è da mettere in relazione alle patologie prostatiche, che in questa fascia di età sono la regola (ipertrofia prostatica benigna, prostatite, tumore della prostata). In questi casi l’inevitabilità eiaculatoria può ridursi, fino a scomparire, per cui la durata dell’orgasmo può essere abbreviato o prolungato mentre il volume del fluido seminale si riduce notevolmente, per ipotrofia delle vescichette seminali.

La quarta fase (di risoluzione) si caratterizza per la rapidità della detumescenza dopo l’eiaculazione e per il prolungamento del periodo refrattario. Dobbiamo ricordare che questi fenomeni sono anche innescati dal diminuito trofismo e tono del tessuto erettile, che risente della variazioni ormonali correlati all’età.



Per la donna l’inizio dell’invecchiamento sessuale può coincidere con la menopausa che presenta segni clinici e biologici specifici: la caduta degli estrogeni , perdita della capacità riproduttiva , riduzione significativa del tasso degli ormoni sessuali presenti nel sangue.

Analogamente a quanto succede per le sue prestazioni fisiche che risentono della ipotonia muscolare (pensiamo alla incontinenza urinaria da sforzo, espressione di cedimento della muscolatura perineale) anche dal punto di vista sessuale assistiamo a dei cambiamenti.

La donna va incontro ad un rallentamento ed indebolimento della risposta sessuale, infatti durante le quattro fasi del ciclo sessuale riduce sia l’intensità della reazione fisiologica che la durata della risposta alla stimolazione sessuale.

Nella fase di eccitamento la lubrificazione della regione vaginale richiede per prodursi tempi più lunghi e la quantità di lubrificazione è minore rispetto alla donna più giovane (ciò in relazione alla carenza estrogenica della menopausa). Queste difficoltà possono essere mitigate allungando i tempi di stimolazione clitoridea antecedenti alla penetrazione o attraverso l’utilizzo di creme o liquidi lubrificanti o sostitutivi ormonali.

Nella fase di Plateau l’intensità della vasocongestione locale del terzo esterno della vagina si riduce notevolmente per il diminuito trofismo tissutale dovuto alla carenza ormonale che determina anche una fibrosi delle pareti vaginali ed il il restringimento del lume .

La diminuzione di spessore della mucosa e la diminuita elasticità dei tessuti in questa area (attraversata dall’uretra e dal collo vescicale) può determinare, durante il rapporto sessuale, una irritazione della vescica e dell’uretra, provocando eventuali uretrocistiti. Queste reazioni fisiologiche possono essere attenuate o eliminate con cure ormonali sostitutive, anche naturali, a base di estrogeni sia per os , sia per applicazioni locali sotto forma di creme.

La fase orgasmica risulta abbreviata, le contrazione della piattaforma orgasmica nel terzo esterno della vagina sono meno frequenti , spesso la risposta contrattile ritmica dell’utero è sostituita da una contrazione spastica percepita dalla donna anziana come dolore riflesso nell’addome inferiore. Il dolore può essere alleviato con opportune tecniche di sostituzioni degli steroidi sessuali

Sostanzialmente nella donna la capacità orgasmica resta invariata fino a tarda età, è soprattutto l’elaborazione a posteriore dell’ esperienza vissuta che favorisce o frena il desiderio.

Nella fase di risoluzione si ha un collasso rapido della vasocongestione dell’intero condotto vaginale (a differenza delle giovani, nelle quali si ha una depressione graduale e normale), attribuita alla minore entità della risposta vasocongestizia pelvica e alla minore elasticità dei tessuti.

La sessualità dell’anziano è arricchita di sfumature sessuali ed erotiche più complete.
La terza età può offrire l’occasione di vivere una sessualità diversa, maggiormente eccitante, in quanto diversa dalla quotidianità, svincolata da impegni stressanti.
Una sessualità più ricca perfezionata dalle esperienze passate e presenti condivise da un lessico comune e costruito nel tempo.

L’ansia da prestazione accomuna tutti gli uomini di tutte le età, ma colpisce soprattutto i maschi anziani: “Chissà se riuscirò”. Numerosi fattori, infatti, possono influire in maniera diversa sui problemi sessuali dell’uomo anziano.

Nella vecchiaia si verificano due importanti categorie di fenomeni: il cambiamento corporeo e le modificazioni fisiologiche e psicologiche.

Il corpo cambia nelle proporzioni, nell’elasticità della pelle e nella tonicità muscolare. E’ chiaro come l’uomo che faccia costantemente attività fisica, senza ansia da prestazione, che curi la sua salute, che mangi in modo sano…. limiti notevolmente i danni del decadimento fisico.

A ciò si aggiunge una diminuzione delle capacità sensoriali, che però possono oggigiorno venire ovviate, vedi occhiali da vista ed eventuali apparecchi acustici molto funzionali. Se la persona mantiene attiva la mente, mostrandosi aperta, flessibile e continuando ad apprendere e a cercare di migliorare se stessa, questi stessi cambiamenti sensoriali vengono ad essere meno percepiti.

Le convinzioni psicologiche sono le più deleterie e colpiscono negativamente gli anziani, soprattutto gli uomini nella sfera sessuale, ad esempio: la paura di invecchiare, di perdere la memoria, di non essere più attraenti, di perdere la capacità erettile, ecc.

L’attuale generazione di anziani ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Inoltre hanno subito l’influsso di costumi sessuali molto conservatori. Potrebbe però anche essere che più la persona invecchi più diventi conservatrice e in tale direzione sussistono specifiche ricerche longitudinali, pertanto la prossima generazione potrebbe subire altri tipi di condizionamenti.

E’ chiaro come più un anziano rimanga mentalmente aperto e flessibile più risulterà in grado di contrastare anche gli effetti coorte.

Gli anziani possono vedersi ridurre le opportunità di avere una vita sessuale, perché magari vivono con i figli oppure vivono in case di riposo e non vivono più da soli.

Molti fanno una vita casalinga perché hanno paura di uscire da soli, perché sono vissuti per troppo tempo isolati tra casa e lavoro ed hanno trascurato hobbies ed amicizie. Da qui l’importanza di non isolarsi nella coppia, ma di rimanere aperti alle proprie amicizie e passatempi in tutte le età della vita. La condivisione sconfigge la solitudine e l’isolamento ed aiuta la crescita intellettuale e personale.



Nella terza età si assiste frequentemente ad una scissione tra mente e corpo, con una conseguente focalizzazione dell'attenzione sulle funzioni somatiche, che in alcuni casi può arrivare ad ipocondria, cioè ad un'eccessiva e patologica preoccupazione per le proprie condizioni di salute. Alla base di questa eccessiva preoccupazione c'è molto spesso la perdita d'interesse per il mondo esterno, un dispiacere in campo affettivo o la ridotta attività.Uno dei disturbi più comuni tra le persone anziane è la depressione, che molto spesso non viene riconosciuta perché si manifesta con sintomi molto diversi. Oltre a tristezza e malinconia, altri sintomi depressivi sono: nervosismo, ansia, facile irritabilità, perdita di appetito, sonno irregolare, incapacità di prendere decisioni, senso di colpa e di inutilità, riduzione del desiderio sessuale e rallentamento verbale e psico-motorio. Tali disturbi psichici e in particolare la depressione comportano gravi problemi sessuali nell'anziano, e molto spesso l'uso di farmaci (antidepressivi) può causare disfunzioni sessuali, creando un circolo vizioso. Vi sono persone che in questi casi rifiutano di curarsi.
Anche i fattori socio culturali svolgono un ruolo determinante sul comportamento sessuale. Processi di socializzazione influenzano notevolmente la sessualità delle persone, il loro ruolo sessuale all'interno di un gruppo, come anche le norme e i valori del gruppo ai quali aderiscono.Anche se i ruoli sessuali sono cambiati e abbiamo assistito sin dagli anni '60 ad una maggior libertà nell'espressione sessuale, continuano ad esistere vari stereotipi sulle persone anziane che le descrivono come non attraenti, incapaci di raggiungere piacere sessuale e soprattutto non interessate al sesso. Molto spesso gli anziani interiorizzano tali stereotipi e vivono la sessualità come riprovevole da un punto di vista morale e sociale. In molti casi queste motivazioni spingono la coppia a non esporre i propri problemi sessuali al medico di famiglia o allo specialista.

Quando sia radicato che gli anziani non ricorranno all'attività sessuale o che per lo meno non ne necessitano è testimoniato dal fatto che le stesse organizzazioni o strutture sociali che si sono sviluppate a tutela degli anziani non hanno predisposto spazi che favoriscano le relazioni sociali intese in senso lato, né hanno adeguatamente riconosciuto le necessità sessuali o relazionali che indirettamente o direttamente possono favorire le relazioni sociali e quindi l'attività sessuale dei loro clienti.I differenti ruoli sociali che l'uomo e la donna hanno avuto si riflette sulla loro sessualità. Gli uomini anziani hanno più probabilità rispetto alle donne di sposarsi e di risposarsi in caso di divorzio o di morte del partner. Ruoli convenzionali enfatizzano l'iniziativa, la prestazione, nel lavoro e nelle relazioni sociali. Dopo il pensionamento e le naturali variazioni fisiologiche che accompagnano l'invecchiamento gli uomini possono sperimentare una perdita di autostima.





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lunedì 16 novembre 2015

CHI ARMA L'ISIS?



Le armi più comuni usate contro la coalizione multinazionale in Iraq durante la guerriglia irachena tra il 2003 e il 2011 erano quelle prese dalle riserve di armi di Saddam Hussein distribuite per il Paese; queste comprendevano i fucili d'assalto AKM, mitragliatrici PK e lanciarazzi RPG-7.

L'ISIS è stata in grado di rafforzare le sue capacità militari catturando una grande quantità di armi di diverse tipologie durante la Guerra civile siriana e nella guerriglia irachena scatenatasi dopo il ritiro delle truppe statunitensi. Queste razzie di armi hanno migliorato le capacità del gruppo di portare a termine le operazioni successive e ottenere ulteriori equipaggiamenti.

Le armi che ISIS ha ottenuto e impiegato comprendono: missili terra-aria Strela-2 e FIM-92 Stinger; Missili anticarro M-79 Osa, HJ-8 e AT-4 Spigot; artiglieria 130mm M-46 e obici M198; carri armati T-54/55, T-72, e M1 Abrams; autoblindo Humvee e M1117; camion muniti di mitragliatrici DShK cannoni antiaerei ZU-23-2; lanciarazzi multipli BM-21; almeno un missile Scud.

Quando l'ISIS ha preso l'aeroporto di Mosul nel giugno del 2014 ha sottratto degli elicotteri Sikorsky UH-60 Black Hawk e alcuni aerei da trasporto che stazionavano lì. Secondo Peter Beaumont del The Guardian sembra difficile che ISIS sarà in grado di schierarli.

L'ISIS si è anche impossessata di materiale nucleare dall'università di Mosul nel luglio del 2014. In una lettera al segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon l'ambasciatore ONU in Iraq, Muhammad 'Ali al-Hakim, ha detto che il materiale presente nell'università “può essere utilizzato per creare armi di distruzione di massa”. Esperti nucleari considerano però la minaccia insignificante. Il portavoce dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica Gill Tudor scrive che il materiale rubato era “di bassa qualità e non presenta un rischio significativo per la sicurezza o proliferazione nucleare”.

Nel luglio del 2014 la BBC ha riportato le parole dell'investigatore capo delle Nazioni Unite che dichiara: “I combattenti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) potrebbero essere aggiunti alla lista dei sospettati per crimini di guerra in Siria.” Nell'agosto del 2014 le Nazioni Unite hanno accusato lo Stato Islamico di commettere “atrocità di massa” e crimini di guerra.

In politica estera l’America ha sempre sbagliato tutto. Propaganda di un gruppo radicale anti-Usa? No, parole pronunciate da un candidato repubblicano alla Casa Bianca per le presidenziali 2016. Rand Paul, senatore, libertario, non-intervenzionista, è sicuro che dietro l’ascesa dell’Isis ci sono gli americani, anzi, “un paio di  repubblicani esperti di affari esteri” – Lindsey Graham e John McCain (quest’ultimo sconfitto da Obama nel 2008 e oggi guerrafondaio n.1). “Isis è sempre più forte perché i falchi nel nostro partito hanno fornito indiscriminatamente armi agli estremisti”, ha detto a Morning Joe su Msnbc il senatore. “Volevano far fuori Assad e bombardare la Siria. Sono stati loro a creare questa gente”. E poi: “Tutto quel che i falchi hanno fatto e detto in politica estera negli ultimi 20 anni riguardo a Iraq, Siria e Libia, lo hanno sempre sbagliato”.

La tesi non è inedita. Anzi è storia. L’11 settembre ha cambiato il  corso degli eventi in quanto risultato degli errori di Washington, che in Afghanistan e Pakistan per anni ha finanziato gruppi di insorti per rovesciare i governi locali.



In un discorso tenuto  all’Università di Harvard, in Massachusetts, Biden (notoriamente incline alle gaffe) ha accusato i paesi alleati Usa nel Golfo – Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar – di non fare abbastanza per combattere Isis e, peggio, di essere loro i finanziatori del gruppo che ha preso il posto di Al-Qaeda (surclassando in un anno i seguaci di Osama bin Laden per brutalità, strategia,  soldi e marketing mediatico).

Basta rileggere il trascript di un programma andato in onda su Cnn il 7 ottobre 2014 per averne conferma – Joe Biden: “Hanno fatto piovere centinaia di  milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi nelle mani di chiunque fosse in grado di combattere contro Assad, peccato che chi ha ricevuto i rifornimenti erano… al Nusra, al Qaeda e gli elementi estremisti della Jihad provenienti da altre parti del mondo”.

L’amministrazione Obama ha presentato scuse formali e ritrattazioni. Ma in privato, funzionari della Casa Bianca ammettono che “mentre il vice-presidente è stato poco diplomatico, la sua posizione non è errata quando dice che soldi e armi sono finiti nelle mani di estremisti”. Corollario: le frasi dell’unico “uomo onesto a Washington” (come è stato definito Biden) unite alla dichiarazione di Rand Paul sul ruolo dei falchi repubblicani, in pratica ufficializzano l’asserzione secondo cui dietro Isis ci sono i paesi arabi alleati dell’America con la regia del governo di Washington.

Il gruppo conservatore americano “Judicial Watch” ha reso pubblico un rapporto ‘top secret’ della Dia (Defense Intelligence Agency), i servizi segreti del Pentagono. Il documento, 7 pagine, datato 12 agosto 2012, espone il solito errore geopolitico di sempre. La Dia prevede e convalida la creazione di uno Stato islamico per sbarazzarsi del presidente siriano Bashar al-Assad, la cui dittatura – oggi sappiamo – ha causato il  massacro di oltre 200.000 vittime nella guerra civile siriana. Ma la nascita di un “principato salafita” che “unifichi l’estremismo jihad tra sunniti in Iraq e in Siria” non impedisce un’altra accurata previsione: “Assad rimarrà al potere”.

Diventa lecito mettere in dubbio gli sforzi che ampliano i poteri statali anti-terrorismo, cioè il monitoraggio di Cia e Nsa da parte del governo Usa, e dei servizi in Uk e altri paesi alleati (anche in Italia per il Giubileo). L’Occidente combatte contro un nemico comune che però è nato in laboratorio come il mostro di Frankenstein, grazie a maneggi ed alchimie degli stessi suoi creatori per fini geopolitici inconfessabili. Ecco perché non ha senso continuare a fare gli stessi errori  degli ultimi 20 anni, come dice l’ottimo Rand Paul.

Dall’abbattimento di un aereo britannico in Iraq, viene allo scoperto il “doppio gioco” delle forze anglo Americane in Iraq ed in Siria.

Forze irachene hanno comunicato di aver abbattuto  due aerei britannici che rifornivano di armi il gruppo terrorista dello Stato Islamico (ISIS). Lo ha annunciato il parlamentare iracheno Hakem al-Zameli.

L’abbattimento dei due aerei britannici ha avuto luogo nella provincia occidentale di Al.Anbar, una zona che gli USA preferiscono mantenere come un cortile secondario del conflitto nelle vicinanze della capitale irachena, Bagdad.

L’esponente parlamentare iracheno ha dichiarato da questa zona, che è caratterizzata  da  ampi spazi aperti, arrivano informazioni ogni giorno dalla popolazione locale che ha denunciato il sorvolo di aerei del Regno Unito e degli USA che portano armamento destinato ai gruppi dello Stato Islamico..

Lo stesso A-Zameli ha anche assicurato che la sua commissione parlamentare dispone di immagini di questi aerei britannici abbattuti ed ha richiesto alle autorità di Londra spiegazioni in merito.

Il ministro della Difesa Iracheno, Jaled al-Obeidi, aveva avvisato che l’Esercito dell’Iraq avrebbe abbattuto gli aerei che forniranno aiuti all’ISIS. “Qualsiasi aeronave che cerchi di aiutare o rifornire lo Stato Islamico sarà un obiettivo legittimo per le forze irachene. Non importa a quale paese appartenga”, ha sottolineato.  

Gli USA ed i loro alleati della coalizione anti ISIS ,avevano iniziato gli attacchi aerei in Iraq, con l’obiettivo di annientare questo gruppo terrorista. Successivamente hanno esteso le operazioni anche in Siria.

In ripetute occasioni gli aerei da combattimento della coalizione capeggiata dagli USA hanno lanciato grandi quantità di armi e munizioni ad elementi dell’ISIS in Iraq ed in Siria, giustificando poi che si era trattato di un errore.

In altre occasioni sono stati visti aerei della coalizione atterrare in zone controllate dall’ISIS, come ad esempio nella città di Samara, e scaricare armi ed equipaggiamenti destinati ai terroristi.

Gli analisti politici mettono in questione gli obiettivi di Washington in questa nuova lotta contro il terrorismo in Medio Oriente, ci ricordano che i gruppi estremisti come l’ISIS sono nati grazie all’aiuto finanziario ed al sostegno  di paesi come gli USA, la Turchia, l’Arabia Saudita ed il Qatar.

Il doppio gioco di Washington e dei suoi alleati con lo Stato Islamico è stato messo in evidenza ultimamente anche dalle dichiarazioni dell’ex generale USA Wesley Clark, già comandante in capo delle forze NATO, il quale ha dichiarato che” il gruppo terrorista dell’ISIS è stato creato dagli amici ed alleati degli Stati Uniti per combattere contro il Movimento di Resistenza Islamica del Libano (Hezbollah)”.

Nel frattempo stanno arrivando accuse circonstanziate anche da parte di altri esponenti di paesi arabi ed africani, come dall’inviato speciale dell’ONU e della Lega Araba in Siria, Lajdar Brahimi, che ha accusato gli USA di essere iresponsabili della creazione dei gruppi terroristi che stanno sconvolgendo il Medio Oriente. Oltre a questi anche il presidente del Sudán, Omar Hasán Al-Bashi, due giorni fa ha lanciato le sue accuse contro i servizi di intelligence degli USA di essere dietro alle organizzazioni terroristiche e di averne le prove.

In pratica la macchinazione statunitense di utilizzare questi gruppi terroristi dello Stato Islamico come pretesto per un loro nuovo intervento in Iraq ed in Siria, per istallarsi nella zona, rovesciare i regimi a loro ostili (Bashar al-Assad in Siria), combattere il movimento Hezbollah, filo iraniano e ridisegnare la mappa dei confini in Medio Oriente, è ormai venuta allo scoperto ed alla pretesa” lotta al terrorismo” di Obama non crede più nessuno, ad eccezione dei media (giornali e TV occidentali) che riferiscono di una “decisa lotta” intrapresa dalla coalizione internazionale contro lo stato Islamico, ignorando che alcuni paesi che compongono la coalizione (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Uniti) sono fra i principali finanziatori ed ispiratori del terrorismo di marca wahabita e salafita dello Stato Islamico.



I terroristi e gli armamenti rimasti in Libia dopo l’intervento della NATO nel 2011 sono state inviati di corsa in Turchia e da qui in Siria, il tutto coordinato da rappresentanti del Dipartimento di Stato Americano e dalle agenzie di intelligence a Bengasi, covo di terroristi da decenni.

Il “London Telegraph” in un articolo del 2013 intitolato “Unità della CIA dedite al contrabbando delle armi a Bengasi durante l’attacco all’ambasciata”, riporta che:

(la CNN) ha asserito che una squadra della CIA era al lavoro in un edificio di fianco al consolato per rifornire i ribelli siriani di missili provenienti dai depositi libici.

Le armi sono arrivate anche dall’Europa dell’Est, con il New York Times, che in un suo articolo del 2013, intitolato:” Il ponte aereo per le armi ai ribelli siriani si intensifica con l’aiuto della CIA”, scrive:

Da uffici in località segrete, rappresentanti dei Servizi Segreti americani hanno aiutato i governanti arabi ad acquistare armi, incluso un grosso stock dalla Croazia, ed hanno accuratamente valutato i vari comandanti dei ribelli e i rispettivi gruppi di appartenenza per determinare chi dovesse ricevere le armi man mano che arrivavano, questo secondo rappresentanti americani che lo hanno riferito in condizioni di anonimato.

Mentre le fonti giornalistiche occidentali fanno riferimento all’ISIS ed alle altre bande che operano con il simbolo di Al Qaeda, chiamandoli “ribelli” o “moderati”, è chiaro che, se tutti quei miliardi di dollari in armi andassero veramente ai “moderati”, sarebbero loro, e non l’ISIS a dominare il campo di battaglia.

Recenti rivelazioni hanno messo in luce che già nel 2012, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti non solo aveva anticipato la creazione di un “Principato Salafita” che occupasse parte della della Siria e dell’Iraq, esattamente dove ora si trova l’ISIS, ma gli aveva dato un entusiamante benvenuto e un concreto contributo alla sua formazione.

Per quanto molti in Occidente ci mettano tanta buona volontà a fingersi ignoranti su come faccia l’ISIS a procurarsi i rifornimenti atti a mantenere le sue impressionanti capacità offensive, alcuni giornalisti hanno viaggiato nella regione e hanno videoregistrato e fatto articoli sugli infiniti convogli di autocarri che riforniscono l’esercito dei terroristi.

Questi camion, stavano per caso viaggiando avanti e indietro dai luoghi di produzione nel territorio conquistato dall’ISIS, ben all’interno di Siria ed Iraq? No. Venivano dall’interno della Turchia, passavano il confine siriano con assoluta impunità e se ne andavano per la loro strada sotto la tacita protezione delle vicine forze militari turche. Tutti i tentativi della Siria di attaccare questi convogli e i terroristi che entravano nel Paese con loro, si sono sempre scontrati con le difese antiaeree turche.

La rete televisiva internazionale tedesca Deutsche Welle (DW), ha trasmesso quello che è stato il primo videoservizio di un grosso organo di informazione occidentale inteso a documentare come le fonti di sostentamenro dell’ISIS non siano il “mercato nero del petrolio” o i “rapimenti a scopo di riscatto”, ma i rifornimenti del valore di miloni di dollari trasportati quotidianamente all’interno della Siria da centinaia di autocarri provenienti dai confini della Turchia, Stato membro della NATO.

Il servizio intitolato “Le vie di rifornimento dell’ISIS attraverso la Turchia” conferma quanto già detto da analisti geopolitici almeno fin dall’inizio del 2011, che l’ISIS si basa su una immensa sponsorizzazione statale multi nazionale, che include, naturalmente, la stessa Turchia.
Guardando le mappe del territorio conquistato dall’ISIS e leggendo i resoconti delle sue manovre offensive attraverso la regione ed anche oltre, ci si immagina che per mantenere questo livello di capacità bellica siano necessari (i rifornimenti) di centinaia di autocarri al giorno. Si possono immaginare questi convogli che entrano in Iraq dalla Giordania e dall’Arabia Saudita. Altri convogli è probabile che entrino in Siria dalla Giordania.

Riassumendo, considerando la realtà della logistica e la sua costante importanza in tutte le campagne militari della storia dell’umanità, non esiste nessun’altra spiegazione plausibile della capacità dell’ISIS di portare la guerra all’interno della Siria e dell’Iraq, se non attraverso massicce risorse provenienti dall’estero.

Se un esercito marcia con il suo stomaco e gli stomaci dell’ISIS sono pieni di rifornimenti dalla NATO e degli stati del Golfo Persico, allora l’ISIS continuerà a marciare a lungo e con successo. Il segreto per spezzare la schiena all’ISIS sta nello spezzare le sue linee di rifornimento. Per fare ciò, ed è per questo che il conflitto si trascina così da tanto tempo, Siria, Iraq, Iran e gli altri dovrebbero per prima cosa assicurarsi il controllo dei confini e costringere l’ISIS a combattere all’interno dei territori di Turchia, Giordania e Arabia Saudita, uno scenario difficile da realizzare in quanto nazioni come la Turchia hanno creato di fatto zone tampone all’interno della Siria, zone che non è possibile eliminare senza un intervento militare diretto contro la Turchia stessa.

Con l’Iran che si unisce alla lotta, con un ipotetico dispiegamento di migliaia di truppe per sostenere le operazioni militari siriane, i basilari principi di deterrenza potrebbero impedire alla Turchia di rafforzare le sue zone tampone.

In pratica, quello che succede è che la NATO tiene letteralmente in ostaggio tutta l’area tramite la prospettiva di una catastrofica guerra regionale e lo sforzo di difendere e perpetuare il carnaio fatto dall’ISIS in Siria, il tutto con la copertura di una immensa rete logistica che fuoriesce dal territorio stesso della NATO.





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