Ambulanze bloccate, ore di attesa prima di un ricovero, barelle stipate lungo i corridoi, personale insufficiente e stressato: è caos nei pronto soccorso italiani. Tra il picco dell'influenza stagionale e i disagi strutturali legati alla carenza di personale e di posti letto, sono giorni 'caldi' per i reparti di emergenza degli ospedali.
Cosa sta succedendo? In questo periodo dell’anno, molte persone finite a letto per via dell’influenza, l’afflusso dei pazienti al pronto soccorso è aumentato. Proprio come avviene d’estate durante i picchi di caldo. E non si tratta solo di falsi allarmi per un po’ di febbre o di mamme ansiose che non vedono calare la temperatura dei bambini: in questo periodo gli accessi impropri sono meno del 5 per cento. «Non sono i casi non gravi a creare il caos. Questi pazienti con il codice bianco al massimo aspettano molto», dice un medico. «Il problema sono i pazienti che necessitano di un ricovero. Per un anziano che ha già più patologie, un’infezione virale può portare scompensi di ogni tipo, dai problemi cardiaci a quelli respiratori», spiega ancora il medico. «Per cui spesso un anziano necessita di un ricovero ospedaliero. Va ricordato che ogni anno l’influenza in Italia causa 8mila morti, concentrati nella fascia d’età più avanzata, che è in continua crescita nel nostro Paese».
Il problema è che una volta che i pazienti arrivano al pronto soccorso, accertata la necessità di un ricovero, hanno difficoltà a trovare un posto letto dove poter essere curati. E così restano intrappolati al pronto soccorso, sistemati come meglio si può: su barelle, lettighe, panche, sedie, scrivanie. «Tra poco resteranno solo posti in piedi», dice il medico. Mentre fuori si creano lunghe code di ambulanze che non sanno dove mettere i pazienti.
Una volta che i pazienti arrivano al pronto soccorso, accertata la necessità di un ricovero, hanno difficoltà a trovare un posto letto.
Le conseguenze, secondo il presidente nazionale Simeu, Società italiana della medicina di emergenza-urgenza, sono «il rischio aumentato per i pazienti, con l’incremento della mortalità, la disparità di trattamento a seconda del problema, l’impossibilità di garantire il rispetto della privacy e della dignità delle persone da assistere e curare, l’allungamento della degenza, a causa della gestione nel pronto soccorso della maggioranza dei ricoveri nei primi giorni, cioè nella fase più acuta, ma anche un carico orario, professionale ed emotivo per il personale, medico, infermieristico e di supporto non sostenibile nel tempo». Non solo. Secondo il medico ci sono anche problemi di «incolumità per gli stessi pazienti, con il rischio che cadano dalle barelle, e per la sicurezza in generale». Un esempio: «Tutti gli spazi sono ostruiti, tanto che si ha difficoltà a far passare i macchinari medici. E se scoppiasse un incendio cosa si fa?».
A monte di questo caos c’è la scarsità di posti letto nei nostri ospedali. «L’incremento degli accessi per patologie legate all’epidemiologia stagionale non è la causa principale» del caos dei pronto soccorso, dice un altro medico. «La paralisi dei pronto soccorso che in questi giorni sta interessando le strutture ospedaliere di tutta Italia ha una causa fondamentale: l’impossibilità di ricoverare tempestivamente i pazienti con indicazione al ricovero nei reparti degli ospedali per carenza di posti letto». E non perché i nostri ospedali siano piccoli o perché in Italia siamo a corto di letti e lenzuola. Ma perché, con l’obiettivo di ridurre della spesa sanitaria, negli ultimi quindici anni sono stati tagliati 70mila posti letto, senza un adeguamento corrispondente delle reti territoriali di cura e assistenza.
L’Italia, in base ai calcoli fatti dall’Ocse, ad oggi ha soli tre posti letto ogni mille abitanti, quando la media europea è di 6,4. Fanno meglio di noi la Francia, con 6,3 posti letto ogni mille abitanti, la Germania, che ne ha 8,3, l’Austria, con 7,7, ma anche l’Ungheria (7). Al primo posto il Giappone, con 13 posti letto ogni mille abitanti. Fanno peggio di noi in Europa solo Spagna e Inghilterra. «Per giustificare il taglio degli organici, con il blocco del turn over, e ridurre la spesa in sanità, sono stati tagliati anche i posti letto», spiega Troise. L’affollamento negli ospedali ha conseguenze anche sui pochi medici e infermieri rimasti, che «si trovano a dover reggere carichi di lavoro e di stress non previsti con conseguenze sulla loro stessa salute. Anche perché 40 barelle nel pronto soccorso fanno un nuovo reparto». Lo ha denunciato anche il segretario nazionale del Nursind, il sindacato degli infermieri: «I lavoratori sono costretti a turni massacranti. Lo dimostra il caso di emorragia cerebrale che ha colpito un infermiere, letteralmente crollato dopo aver lavorato a ritmi frenetici per 12 ore consecutive al pronto soccorso dell’ospedale Martini di Torino».
Negli ultimi quindici anni sono stati tagliati 70mila posti letto, senza un adeguamento corrispondente delle reti territoriali di cura e assistenza
Negli ultimi quattro anni, il Fondo sanitario nazionale ha subito una cura dimagrante da 30 miliardi di euro. Tanto che nella relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali relativa al 2013, la Corte dei conti ha lanciato un allarme: dopo i tagli lineari su alcune importanti voci di bilancio – farmaci convenzionati, personale, acquisto di prestazioni sanitarie da privati accreditati - che hanno portato a un progressivo riassorbimento dei deficit e a una contrazione complessiva della spesa sanitaria del 2,8% dal 2010 al 2013 (con una riduzione pari a 3 miliardi), ulteriori risparmi, ottenibili con un aumento dell’efficienza, se non reinvestiti in ambiti in cui è più carente l’offerta di servizi sanitari, come l’assistenza territoriale e domiciliare (che potrebbero compensare il taglio dei posti letto) oppure l’ammodernamento tecnologico e infrastrutturale, «potrebbero rendere problematico il mantenimento dell’attuale assetto dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), facendo emergere, nel medio periodo, deficit assistenziali, più marcati nelle Regioni meridionali, dove sono relativamente più frequenti tali carenze».
«Il problema», spiegano i medici, «è che per come stanno le cose, negli ospedali è difficile entrare ma anche uscire. Il taglio dei posti letto dei reparti non è stato compensato da altre soluzioni extraospedaliere, così è difficile dimettere alcuni pazienti. Non ci sono assistenze sanitarie sociali, non ci sono assistenze domiciliari». E così i malati si “affollano” nelle sale d’attesa o nei corridoi degli ospedali.
Ma dietro al caos, ci sono anche ragioni di inefficienza. Uno dei problemi, secondo il presidente della Simeu, è anche la distribuzione dei posti letto tra i diversi ospedali e tra i diversi reparti, «che non tiene conto dei flussi dei pazienti e delle esigenze specifiche del singolo reparto ed è scarsamente flessibile». Oltre al fatto che «in alcune aree ospedaliere gli indici di occupazione dei posti letti sono bassi o i tempi di degenza alti, il che identifica un utilizzo inefficiente delle risorse e impedisce o limita l’accesso ai posti letto dei pazienti in attesa di ricovero nei pronto soccorso».
Ogni anno gli accessi ai pronto soccorso italiani sono circa 24 milioni, pari a un terzo della popolazione, quasi un accesso al secondo. I pronto soccorso restano i primi “sportelli” per le richieste di assistenza sanitaria. Il 15% dei pazienti viene ricoverato, altri ricevono tutte le cure di cui hanno bisogno senza necessità di un ricovero, in altri casi le cure proseguono a domicilio o in strutture protette. Nella maggior parte dei casi (65-70%) si tratta di vittime di incidenti o pazienti affetti da malattie acute, ma nel 30-35% dei casi sono persone «con problemi sanitari minori che potrebbero trovare risposta in altri servizi sul territorio».
Potenziare la rete di assistenza territoriale è certamente la prima delle soluzioni da mettere in campo per mettere un freno al caos che vivono molti reparti d'emergenza, soprattutto quelli delle grandi metropoli. Ma per l'Anaao Assomed questo non accadrà: "Non vi saranno azioni concrete per arginare e invertire le condizioni, indegne di un paese civile, in cui si ritrovano pazienti e parenti, medici, infermieri e tutti gli operatori sanitari dei nostri nosocomi".
Per il sindacato della dirigenza medica, "il Ssn sta precipitando nel baratro dell'incapienza. Un'incapienza di posti letto, di medici, di infermieri, di operatori socio-sanitari, di risorse in conto capitale, di formazione. Siamo ai margini dell'Europa come numero di posti letto per mille abitanti, sotto la media Ue per le risorse destinate alla sanità. E il personale continua inesorabilmente a calare rendendo incompatibile assistenza e sicurezza".
Secondo gli esperti della Simeu "un'azione indispensabile è quella di revisione e rinforzo del sistema territoriale e della medicina generale, per limitare gli accessi impropri, ma soprattutto per accogliere tempestivamente i pazienti in dimissione dagli ospedali. Altrettanto necessario - aggiungono - è garantire in tutti i pronto soccorso l'attività di osservazione breve, integrata con quella più tradizionale di accettazione. E' un'attività che permette di tenere sotto controllo per 12-30 ore i pazienti con problematiche non completamente definite, e successivamente di ricoverare solo quelli che ne hanno bisogno e di dimettere gli altri in sicurezza".
Infine, ricordano gli esperti, è necessario "garantire in tutti gli ospedali una funzione forte centralizzata di 'bed management' basata sulla rilevazione costante di alcuni semplici indicatori (accessi, tempi di permanenza in pronto soccorso, occupazione dei posti letto, degenze medie). Ridurre le degenze più lunghe - concludono - anche attraverso i percorsi di dimissione protetta".
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