Volere è potere è un libro didascalico pubblicato nel 1869 da Michele Lessona, sul modello dell'opera Self-help dello scrittore britannico Samuel Smiles tradotta in italiano nel 1865 con titolo Chi si aiuta Dio l'aiuta.
L'opera di Smiles non era altro che la raccolta dei testi di una serie di conferenze che l'autore aveva tenuto a un gruppo di giovani inglesi di umili origini per spingerli a migliorare la propria posizione sociale. La tesi dominante era dimostrare che la forza di volontà era in grado vincere ogni ostacolo e pertanto un uomo volenteroso era in grado sollevarsi dall'oscurità e dalla miseria alla fama e alla ricchezza. Il testo ebbe un successo travolgente anche in Italia: ne vennero vendute ben 150 000 copie in pochi mesi e lo stesso presidente del consiglio Luigi Federico Menabrea diede disposizione perché fosse fatta un'opera analoga con esempi di italiani di successo; Menabrea inviò addirittura una circolare ai diplomatici italiani perché raccogliessero notizie su italiani "che onestamente arricchirono, accennando segnatamente agli ostacoli della loro prima vita". L'editore Gaspero Barbèra si rivolse a Michele Lessona, un noto zoologo dell'Università di Torino che aveva dimostrato non comuni doti di divulgatore scientifico, il quale accettò per lo stesso spirito del Mazzini nei "Doveri dell'uomo".
Il concetto di intenzione è centrale per comprendere perchè riusciamo o non riusciamo a portare a termine qualcosa.
Troppo spesso si confonde l'intenzione con la volontà.
A causa di questa confusione nasce un paradosso: il mio fare è visto come conseguenza della mia volontà di fare, così, quando non riesco, devo per forza concludere che non ho voluto abbastanza.
Dover attribuire a me stesso le cause dell'insuccesso aumenta la tendenza a criticarmi e di conseguenza a scoraggiarmi: pone un serio ostacolo all'intenzione, riducendo la mia motivazione e quindi la probabilità di riuscire. Il solito circolo vizioso.
A lungo andare la constatazione di non riuscire mai a volere abbastanza, mi porta inevitabilmente a concludere che in me c'è qualcosa che non va, che sono difettoso, fatto male.
Ne conseguono sentimenti negativi di colpa, ostilità verso me stesso, disperazione alla prospettiva di un futuro nel quale mai riuscirò.
Tutto ciò ha un impatto devastante sulla considerazione che ho di me stesso. La mia autostima subisce un tracollo. Un nuovo circolo vizioso.
Il concetto di intenzione è diverso da quello di volontà.
Innanzi tutto non è riconducibile solo a me stesso. L'intenzione infatti è un puzzle di fattori, alcuni attribuibili alla persona, altri al contesto. La volontà è solo uno di questi fattori, che tra le altre cose non dipende esclusivamente dall'individuo.
Conosciamo poco riguardo a come funzioni la volontà, ma di sicuro sappiamo che non basta per riuscire a studiare o a seguire una dieta.
Non si può esercitare la propria volontà semplicemente volendolo. Essa dipende anche da circostanze che non sono sotto il nostro controllo. La volontà di studiare, esempio tra tutti, può venire a mancare perchè non siamo abbastanza motivati al compito.
Essere motivati significa che oltre a ritenere utile e necessario studiare, sappiamo anche crearci l'intenzione di farlo. Riusciamo cioè a predisporre le situazioni in modo tale che accendano in noi lo scopo di studiare.
Con il termine intenzione ci riferiamo alla predisposizione dell'organismo quando si trova orientato verso un fine. Nella mente di questo organismo è presente un'idea che questo fine sia apprezzabile, abbia cioè un valore conseguirlo. Inoltre il pensiero è orientato a disporre un disegno, un progetto, un piano per il suo conseguimento. L'orientamento all'azione mira alla meta, stimola la volontà, la voglia, dispone le risorse, l'animo e la fiducia nella riuscita. Per creare l'intenzione quindi non basta volerlo, occorre agire in maniera strategica sull'idea, sul pensiero e sui meccanismi che governano l'azione dell'individuo.
Esistono differenti discipline che si occupano di creare l'intenzione. L'educazione e l'auto-disciplina sono un esempio. Nei casi migliori si riesce a tirare fuori l'intenzione, indirizzandola verso scopi utili e desiderabili.
Putroppo non sempre è così.
La volontà non può superare i limiti della sfera psichica; non è in grado di costringere l’istinto, e non ha potere sullo spirito.
(C.G.Jung – 1947)
“L’unica cosa che ci rifiutiamo di ammettere è di essere in balia di «forze» che non siano riducibili al nostro controllo. Il motto «Volere è potere» è la superstizione dell’uomo moderno.
Eppure l’uomo contemporaneo, pur di mantener viva questa fede, paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione. Egli resta cieco al fatto che, pur con tutta la sua razionalità e la sua efficienza, «forze» non controllabili lo tengono ancora in loro balia. I suoi dèi e i suoi demoni non sono affatto scomparsi: hanno solo cambiato nome. Essi lo tengono in uno stato d’agitazione incessante attraverso vaghe apprensioni, complicazioni psicologiche, un bisogno insaziabile di pillole, di alcool, di tabacco, di cibo e soprattutto imponendogli un pesante fardello di nevrosi.
All’uomo piace credere di essere padrone della propria anima. Ma nella misura in cui egli si dimostra incapace di controllare i propri stati d’animo e le proprie emozioni, o di prendere coscienza degli infiniti modi segreti in cui i fattori inconsci arrivano a insinuarsi nei suoi propositi e nelle sue decisioni, egli non è affatto padrone di se stesso. Questi fattori inconsci debbono la loro esistenza all’autonomia degli archetipi.
L’uomo moderno cerca di evitare di prendere coscienza di questa spaccatura della sua personalità istituendo un sistema di compartimenti stagni. Certi aspetti della sua vita esteriore e del suo comportamento sono mantenuti, per così dire, in zone separate e non sono mai messi a confronto fra di loro.”
(C.G.Jung – L’uomo e i suoi simboli)
Una coscienza potenziata a spese di un’inevitabile unilateralità, in tutti i casi si allontana talmente dalle immagini archetipiche da provocare un crollo.
E già molto prima della catastrofe si annunciano i segni dell’errore, come assenza di istintualità, nervosismo e disorientamento, invischiamento in situazioni e problemi impossibili e così via. L’analisi del medico rivela subito un inconscio che, trovandosi in stato di completa ribellione contro i valori consci, non può dunque in nessun modo essere assimilato dalla coscienza; e il contrario è ancora più impossibile. A questo punto ha inizio dunque quella via che fu percorsa dall’Oriente fin da tempi immemorabili. E’ chiaro che il cinese potè percorrerla proprio perché non era mai stato in grado di separare gli opposti della natura umana in modo tale che andasse perduto ogni loro reciproco collegamento cosciente.»
(C.G.Jung – Commento all’antico testo cinese “Il segreto del Fiore d’Oro”, Bollati Boringhieri, p.36)
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