Mentre il cristianesimo era ancora religione illegale nell'Impero romano, si richiedeva già ai pastori l'osservanza di una continenza totale anche nei riguardi delle proprie mogli. Nel 306 circa, il Concilio di Elvira dichiarò, nel suo canone 33, che ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi era proibito avere relazioni sessuali con le proprie mogli e generare figli. Un concilio tenuto a Cartagine nel 390 considerò questo una prassi antica e di origine apostolica: "Il vescovo Aurelio disse: Quando nel concilio scorso si considerava il regolamento della continenza e della castità riguardo ai tre ordini collegati per la loro consacrazione alla castità, cioè, i vescovi, i presbiteri e i diaconi, fu presa la decisione che conviene che i sacri prelati e sacerdoti di Dio ed anche i leviti, quelli che servono ai sacramenti divini, siano totalmente continenti, per poter ottenere da Dio quello che chiedono con semplicità, affinché anche noi conserviamo ciò che gli apostoli hanno insegnato e l'antichità ha osservato. Faustino, vescovo di Potenza Picena, legato della chiesa di Roma, disse: Piace che i vescovi, i presbiteri e i diaconi, cioè quelli che toccano i sacramenti mantengano la castità e astengano dalle loro mogli. Tutti dissero: Piace che tutti coloro che servono all'altare mantengano totalmente la castità".
Diversi Padri della Chiesa indicano che l'ascetismo sessuale era largamente praticato dai cristiani dei primi secoli. Giustino di Nablus (c. 100 - c. 165) dichiarò: "Molti uomini e donne di sessanta o settanta anni, che fin da fanciulli furono ammaestrati negli insegnamenti di Cristo, perseverano incorrotti. E mi vanto di potervi mostrare uomini siffatti sparsi in ogni classe." Suo contemporaneo più giovane, Atenagora di Atene (c. 133 – c. 190), scrisse: "Troveresti fra noi molti uomini e donne, che si invecchiano senza sposarsi, nella speranza di unirsi più strettamente con Dio". Recenti studi hanno mostrato – come dichiara uno storico greco ortodosso – che "la continenza dentro del matrimonio – una specie de monachesimo domestico – era molto più ampiamente praticata e proposta come l'ideale di quello che spesso si suppone, per i pii laici ma specialmente per l'alto clero". Egli osserva che sono molti pure le testimonianze della mancata osservanza dell'ideale, di cui l'esistenza però spiega l'assenza di seria opposizione all'imposizione nella Chiesa ortodossa del celibato obbligatorio dei vescovi.
Le decisioni dei concili di Elvira e di Cartagine, che ai chierici escludevano i rapporti matrimoniali, mostrano che già allora si richiedeva loro una vita di ascetismo almeno uguale a quello di molti cristiani laici. Come era prevedibile, non di tutti i chierici la vita corrispondeva a quello che si attendeva. Il Padre della Chiesa Epifanio di Salamina (c. 315 – 403), testimone greco dell'esistenza della stessa norma sia in oriente che in occidente, osserva: "La santa Chiesa di Dio non accetta come diacono e presbitero e vescovo e suddiacono chi, pur essendo marito di una sola moglie, ancora convive con lei e genera figli, ma accetta chi si astiene dalla sua unica moglie o chi è vedovo, soprattutto là dove si osservano con esattezza i canoni ecclesiastici. Ma sicuramente mi dirai che in certe località presbiteri e diaconi e suddiaconi ancora generano figli. Questo succede in conformità non con il canone ma con l'intento a volte lassista degli uomini e per la gente dove manca servizio".
Evidentemente, non essere sposati (il celibato in questo senso) non era allora condizione per essere ordinato chierico. Potevano essere ordinati sia celibi che sposati. Non c'è motivo di supporre che i vescovi che parteciparono ai concili di Elvira e di Cartagine siano stati tutti celibi. Tertulliano (155 circa – 230 circa), testimone dell'esistenza allora di molti chierici viventi in continenza, era sposato quando avrebbe ricevuto il sacerdozio (secondo i più recenti studiosi, è rimasto sempre laico). Due dei suoi scritti sono dedicati "ad uxorem", cioè "a mia moglie". S. Atanasio (296-373) nella sua Epist. ad Dracontium scrisse: "Ci sono monaci che sono padri di famiglia. Ancora, voi potete vedere dei vescovi ammogliati a figli, e dei monaci che non si danno alcun pensiero della loro posterità". S. Gregorio Nazianzieno (330-389) patriarca di Costantinopoli, era figlio di un vescovo. San Patrizio (ca. 372-483), l'apostolo dell'Irlanda, era figlio di un diacono britannico; e suo nonno era presbitero. Nel 911 i veneziani elessero come loro vescovo Orceano, il quale andò ad abitare il palazzo vescovile con la moglie e i figli. Da molte iscrizioni tombali di presbiteri e di vescovi dei primi seicento anni di cristianesimo risulta che erano sposati con figli. Papa Ormisda (514–523) fu ordinato diacono quando era sposato e aveva un figlio, il quale poi è diventato Papa Silverio (536-537).
Data l'esclusione dei rapporti coniugali perfino con una moglie già esistente, era considerato inconveniente che, dopo avere assunto con l'ordinazione tale dovere, un chierico si sposasse. Nell'Impero bizantino l'imperatore Giustiniano I proclamò la nullità degli eventuali matrimoni di chierici negli ordini maggiori (suddiaconi, diaconi, presbiteri, vescovi). Nell'occidente, dove l'editto imperiale non aveva vigore, i matrimoni di tali chierici, pur essendo illeciti, restavano canonicamente validi fino al 1139, quando il Concilio Lateranense II li dichiarò nulli. (Un decreto attribuito al Concilio Lateranense I di 1123 avrebbe già dichiarato nulli i matrimoni stipulati dopo l'ordinazione maggiore, ma esistono dubbi sia sulla sua autenticità sia sulla sua interpretazione).
In inglese la parola celibacy non necessariamente significa non essere sposati: si usa, independentemente dello stato civile della persona, per indicare l'astenzione dalle relazioni sessuali. Alcuni dizionari indicano che oggi è questa il significato principale. Il celibato, se interpretato come sínonimo della correspondente parola inglese, era proposto come ideale per i chierici cristiani da molto presto. Le esistenti fonti del IV secolo attribuiscono agll apostoli l'origine di questo obbligo anche in relazione alle spose. Ancora la Chiesa cattolica considera che è a causa dell'"obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli" che i chierici della Chiesa latina sono vincolati al celibato.
Già oggi (e da molti secoli) il celibato obbligatorio non è in vigore in tutta la chiesa romana: c’è una sua parte, costituita dalle chiese cattoliche orientali unite a Roma (quindi sottoposte alla obbedienza papale), nelle quali da sempre i preti si possono sposare, e si sposano, in virtù di un loro particolare diritto canonico. L’unica condizione è che il matrimonio avvenga prima dell’ordinazione sacerdotale: il matrimonio, cioè, non è considerato un impedimento per l’esercizio del ministero sacerdotale. Quindi neppure nella chiesa di Roma (la più rigida in questo campo), il celibato obbligatorio è una regola assoluta. I papi sono riusciti, sia pure a fatica, a imporla alla grande maggioranza dei loro preti, ma non a tutti: i cattolici orientali sono l’eccezione che, in questo caso, non conferma la regola, ma la relativizza. Ed è giusto che la relativizzi, perché anche la chiesa di Roma, che pure è così intransigente su questo punto, considera il celibato obbligatorio non una questione dogmatica, ma unicamente disciplinare.
Nella Bibbia, com’è noto, questo collegamento non esiste, né nell’Antico né nel Nuovo Testamento. In Israele i sacerdoti e lo stesso sommo sacerdote erano sposati. Nel cristianesimo dei primi due secoli il celibato non è presentato come una condizione più cristiana di altre o come un valore speciale, degno di essere perseguito in sé e per sé, e questo è tanto più singolare se si pensa che Gesù e l’apostolo Paolo erano entrambi celibi. Paolo ne parla come di un «carisma» parallelo a quello del matrimonio, anche se il testo al riguardo (I Corinzi 7, 7) non è chiarissimo. D’altra parte il celibato non compare mai nella lista delle «opere» o dei «frutti» dello Spirito. È certo comunque che anche fra i cristiani dei primi due secoli vi fu chi, per vari motivi, anche religiosi (la venuta dei Regno considerata imminente, il desiderio di una consacrazione totale al servizio di Dio e del prossimo senza vincoli umani, o altro), rinunciava al matrimonio praticando il celibato e la castità. Ma è altrettanto certo che non esisteva nessuna legge in proposito, e nessun collegamento con l’esercizio di un ministero. Anche la parola di Gesù sugli eunuchi «che si son fatti tali da sé a cagione del regno dei cieli» (Matteo 19,12) – e Gesù aggiunge: «Chi è in grado di farlo, lo faccia» – è rivolta ai cristiani in generale, non ai ministri in particolare, di cui il testo non parla. E comunque si tratta di una eventualità che Gesù evoca, in nessun modo di un suo ordine, e neppure di una sua raccomandazione. «Chi è in grado di farlo, lo faccia» vuol dire che è una libera scelta di ciascuno, ma nessuno è obbligato a farla. Anche la parola dell’apostolo Paolo («vorrei che tutti gli uomini fossero come sono io», cioè senza moglie I Corinzi 7, 7) è rivolta a tutti i cristiani, e si spiega bene se si pensa all’attesa, allora vivissima, della fine del mondo ritenuta imminente. Che senso avrebbe avuto creare una famiglia, dato che il mondo stava per finire? Comunque sia, Pietro era sicuramente sposato, come gli «altri apostoli» (I Corinzi 9, 5), e Paolo stesso, celibe, non chiede al vescovo di essere anch’egli celibe, ma «marito di una sola moglie» (I Timoteo 3, 2), cioè che non si risposi in caso di vedovanza o divorzio.
Le ragioni addotte a sostegno del celibato sono tante. L’idea antica, di origine pagana, che la sessualità sia in qualche modo peccaminosa e renda chi la pratica temporaneamente impuro, e quindi non idoneo al «servizio dell’altare». Il modello di vita monastico esercitò senza dubbio un forte influsso sul clero secolare, che volle adottarne alcune modalità. L’idea che il celibato sia «un segno del Regno», dato che in esso, dice Gesù, «né si prende né si dà moglie» (Matteo 22, 30). L’idea che il celibato consenta una più totale consacrazione a Dio e al prossimo. L’idea che la castità consista anzitutto nella rinuncia alla sessualità, e che sia moralmente preferibile rinunciare alla sessualità piuttosto che esercitarla. L’idea (oggi meno sottolineata che in passato) che la condizione di verginità sia superiore alla condizione coniugale. Il fatto che un clero celibe è più facile da gestire e utilizzare che un clero con famiglia e che il celibe, non avendo figli, non può lasciare loro in eredità i «benefici ecclesiastici», e quindi non costituisce una ipotetica minaccia per il patrimonio della chiesa.
Nella intervista a Papa Francesco sull’aereo di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa, non è mancata la domanda sui “preti sposati”, dato che, come si sa, gli Ortodossi hanno dei preti sposati, e i ministri protestanti e anglicani – identificabili ‘grosso modo’ con i preti cattolici – sono quasi tutti sposati. La domanda del giornalista sembra poi giustificata dal fatto che in Germania i preti cattolici non aspetterebbero altro che il momento per potersi sposare.
Il Papa risponde chiarendo anzitutto che nelle Chiese cattoliche di rito orientale, già «ci sono dei preti sposati!». E prosegue: "Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, c’è sempre la porta aperta."
Il Papa parla di “celibato”, ed essere celibi, nel senso comune del termine, significa non essere sposati. Nel linguaggio cristiano, però, il concetto di “celibato” è strettamente connesso con quello di “castità” e di “continenza sessuale”. Uno può essere celibe, ma andare a donne. Quando si dice che un prete deve essere celibe, significa che deve vivere nella castità totale, cioè non solo astenersi da qualsiasi rapporto sessuale, ma anche avere un cuore puro, un cuore libero anche affettivamente, perché è consacrato al Signore. In altre parole, un prete manca al suo impegno di celibato non solo quando va a donne, ma anche quando permette al suo cuore di innamorarsi di una donna, di avere contatti fisici con lei (abbracci, carezze), anche senza arrivare al rapporto sessuale completo. Un prete che ha una “fidanzata”, pur senza andare a letto con lei, manca alla sua promessa di celibato. Per questo stretto legame tra celibato e castità, molti non distinguono più tra celibato (come stato civile) e castità o continenza sessuale (come virtù), e da qui derivano molte confusioni.
Il Papa dunque ha parlato del “celibato” dei preti in senso globale, come stato civile e come virtù, e ha detto che questa è una «regola», aggiungendo che questa regola non è «un dogma di fede».
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