lunedì 21 settembre 2015

NOSTALGIA....



“Nostalgia” è una parola con etimologia di derivazione greca. Viene infatti da “nòstos“, cioè “tornare a casa, o alla propria terra natale” e “algos“, che si riferisce invece al “dolore, alla sofferenza” dello stare lontani.
Il termine venne creato dal diciottenne alsaziano Johannes Hofer, il quale, nel 1688, inserì questo concetto nella sua tesi di laurea in medicina, presso l’Università di Basilea. I francesi l’hanno poi chiamata mal du pays, i tedeschi Heimweh, gli inglesi homesickness: tutti termini che mettono in evidenza il desiderio ossessivo di fare ritorno in patria, a casa propria. In portoghese la nostalgia è invece espressa con la parola saudade, linfa del Fado, un insieme di rimpianto per il passato, mancanza nel presente e desiderio per il futuro. (In molti casi il termine ha una dimensione quasi mistica, come accettazione del passato e fede nel futuro).

Il contributo di Hofer è considerato fondamentale nel campo della medicina psicologica e psicosomatica, per almeno due ragioni: è stato il primo studioso a descrivere la nostalgia come una condizione clinica, e nel suo scritto ha messo in evidenza gli effetti della mente sul corpo (Martin 1954).

In realtà, anche se sotto altri nomi, ben prima del lavoro di Hofer, la nostalgia era già apparsa nella letteratura e nella poesia, a partire dai salmi biblici, per continuare con gli scritti di Omero, Ippocrate, e Cesare. Il desiderio di tornare alla propria casa è un motivo da sempre ricorrente, che nel periodo classico preoccupava soprattutto le gerarchie militari per l’umore dei soldati, i quali dovevano trascorrere molti anni lontani dalle loro case e dalle persone care, con il rischio di diserzione o di suicidio. Questo interesse verso gli stati emotivi dei soldati si è ripetuto durante le guerre mondiali più recenti, quando furono prese iniziative per prevenire e curare i soldati che soffrivano di nostalgia (Martin 1954; Nawas e Platt 1965).

Negli anni cinquanta del secolo scorso, la nostalgia cominciò ad essere descritta anche come una vera e propria patologia: “La nostalgia non è una malattia mentale, ma può svilupparsi in modo monomaniacale, diventando uno stato mentale ossessivo che causa infelicità intensa. Si manifesta di solito con un intenso desiderio di tornare al proprio Paese o alla propria città di origine”. (Nandon Fodor, 1950).



Il termine nostalgia in sé, pur derivato dal greco come molti termini scientifici, era sconosciuto al mondo greco. Entra nel vocabolario europeo nel XVII secolo, per opera di uno studente di medicina alsaziano dell'Università di Basilea, Johannes Hofer, il quale, constatando le sofferenze dei mercenari svizzeri al servizio del re di Francia Luigi XIV, costretti a stare a lungo lontani dai monti e dalle vallate della loro patria, dedicò a questo fenomeno una tesi, pubblicata a Basilea nel 1688 con il titolo "Dissertazione medica sulla nostalgia". Con questo termine greco di nuovo conio, infatti, Hofer traduce nel linguaggio scientifico l'espressione francese «mal du pays» e il termine tedesco «Heimweh» (letteralmente dolore per la casa), ancor oggi utilizzati nelle rispettive lingue. Tale stato patologico era così grave che spesso portava alla morte i soggetti che ne erano colpiti e nessun intervento medico valeva a ridare loro le forze e la salute a meno che non li si riportasse verso casa. A partire dalla fine del XVIII secolo e soprattutto nella prima metà del secolo successivo, accanto all'interesse medico, la nostalgia convoglia notevoli attenzioni in ambito poetico e musicale, in corrispondenza con l'ondata migratoria dall'Est Europa. Tuttavia, è soltanto a partire da Charles Baudelaire che il termine si libera dal riferimento a precisi luoghi o al passato infantile, per assurgere a condizione di anelito indefinito.

Virginia de Micco, nel testo a sua cura Le culture della salute-immigrazione e sanità, un approccio trans-culturale, scrive:

« Fin dalla sua apparizione sulla scena medica la nostalgia si presenta come una ben strana malattia che pur compromettendo lo stato fisico del soggetto non viene curata da rimedi fisici ma viene curata solo da mutamenti sul piano delle condizioni di vita, viene risolta attraverso strumenti antropologici che consentono una visione ed un’integrazione più profonda dell’individuo nell’ambiente in cui vive e opera. »



Secondo Renos K. Papadopoulos il fatto che tutti i rifugiati abbiano perduto la casa (o la madrepatria) fa sì che condividano un profondo senso di struggimento nostalgico e che desiderino riparare quel tipo molto specifico di perdita. Nostalgia è il termine usato per descrivere l’intero fascio di tutti quei sentimenti, reazioni, speranze, timori, etc. In questa ottica la nostalgia non può essere separata da ciò che la “casa” rappresenta soprattutto a livello simbolico. In particolar modo per i rifugiati, ciò crea un disorientamento in quanto si rivela impossibile stabilire con esattezza l’origine precisa di una perdita che non si limita a quella tangibile di una casa tout court, intesa nella sua materialità, ma che si allarga alla perdita di tutti i tipi di rapporti personali che il soggetto intrattiene con se stesso, con gli altri e con l’ambiente sociale che lo circonda.

Dopo aver lasciato il proprio paese, la propria casa, il luogo dove si è conosciuti e riconosciuti, le poche certezze che hanno segnato e dato senso alla propria esistenza, la nostalgia può rappresentare un’emozione talmente intensa da manifestarsi come esperienza dolorosa, e condurre ad un malessere psichico e fisico. L'antropologo ed etnopsichiatra Roberto Beneduce scrive:

« “Se prima del viaggio si erano costruiti progetti e speranze ed erano state tracciate le premesse di una nuova autonomia, dopo qualche tempo quando i problemi incontrati nei paesi ospiti hanno finito con l’estenuare questa carica progettuale e i bisogni affettivi si sono resi insopprimibili, può accadere al migrante di sentire il proprio progetto esistenziale spezzarsi. Egli può avvertire intorno a sé forze più grandi che lo spingono alla deriva fino a fargli mancare i riferimenti più concreti e irrinunciabili. »
Se da un lato la nostalgia è disillusione e può condurre a un malessere del corpo e della mente, dall’altro può essere vissuta come una spinta verso il luogo di origine, verso il proprio paese, verso gli affetti, verso le proprie radici e la propria storia, spinta che consente di non sentirsi senza casa, senza appartenenza, senza paese e costituisce una risposta al sentimento del pericolo incombente sulla propria identità. Nostalgia allora anche come consolazione e come rifugio. Spesso la nostalgia si condensa intorno ad alcune immagini (di oggetti, di luoghi, di persone) che si rivelano nell’esperienza come fortemente significativi per la propria dimensione dell’essere e molto consolatori rispetto al vissuto dello spaesamento. La nostalgia è un “terreno ricco” nella clinica con le persone straniere, nel quale è molto importante per il terapeuta sapersi muovere, infatti gli “oggetti” della nostalgia (che nel tempo possono anche perdere un po’ di concretezza) ci rivelano molto dell’inespresso della persona, non solo del suo passato, ma anche dei suoi bisogni, dei suoi desideri nel presente.

Il sentimento di nostalgia rappresenta uno dei raccordi fondamentali tra l'identità personale e i processi di identificazione collettiva, ovvero tra il piano psicologico e quello politico.

Una prima funzione del discorso nostalgico, rinvenibile in numerose mitologie e narrazioni nazionali (o di altre formazioni sociali), fa leva sulla malinconia personale per i tempi e spazi sfuggenti, alimentando, così, la speranza utopica del singolo nelle capacità redentrici della collettività. Il movimento verso l’obiettivo “escatologico” (quale ad esempio può essere il conseguimento dell’unità nazionale) è dipinto come un ritorno a una condizione originaria, naturale, salvifica, da sempre latente ma sepolta sotto le macerie del tempo oppure collocata altrove nello spazio. Per cui il discorso è costellato di termini come “rinascita”, “risorgimento”, "riscossa", "ritorno" e simili. In questi casi il sentimento nostalgico non svolge una funzione paralizzante, ma al contrario mobilitante. Non di rado intriga il singolo con tanta più intensità sentimentale quanto più lontano appaia la realizzazione dell’obbiettivo. Questo spiega, tra l’altro, il ruolo eminente che nell’immaginario di varie collettività hanno assunto, oltre agli esili, le “sconfitte”, che in modo a prima vista paradossale, invece di scoraggiare, mobilitano (il caso più spesso citato è probabilmente quello della Battaglia del Campo dei Merli nell’immaginario serbo, ma la storia è ricca di esempi consimili).

Un secondo importante contributo del sentimento nostalgico consiste nell'elaborazione psicologica e culturale di cesure politiche talmente traumatiche da produrre una frattura anche nella biografia dei singoli. I casi recenti più noti sono quelli delle varie "ostalgie" post-socialiste, ma gli esempi storici sono legione. Nelle manifestazioni pubbliche di nostalgia, che possono essere di carattere ufficiale oppure assumere la forma dell'opposizione a un presente indesiderato, s'interseca ancora una volta l’elaborazione del “lutto” personale per i tempi andati con il discorso politico o proto-politico. Può sorprendere come in molti casi il sentimento nostalgico nasca quasi nel momento stesso del passare brusco e inavvertito di un presente familiare. Con ancora più stupore si nota che tale sentimento spesso prescinde del tutto da come, con quale felicità o infelicità, i tempi passati erano stati effettivamente vissuti. Ma lo stupore per questa involuzione sentimentale si basa su un equivoco: l'elaborazione nostalgica non è veramente protesa verso un ritorno al passato. Essa assomiglia, in realtà, a uno struggente commiato da una parte del Sé non più presente, quasi fosse un rito funebre necessario per ridare senso e coerenza alla propria narrazione storica e biografica. Un passaggio, questo, quindi necessario per conciliarsi, in modo talora dolce e talaltra più rancoroso, con il presente. Il ricordo malinconico del passato segnala dunque una pur dolorosa accettazione dello spostamento delle coordinate spazio-temporali, consentendo di riposizionare entro tali coordinate le proprie attese, personali e collettive, per il futuro.




Il momento nostalgico può avvenire:

all’improvviso, quando percepiamo qualcosa che stimola il ricordo;
nei momenti “statici”, magari di solitudine (intesa nella sua accezione più ampia).
Questa sensazione tende a bloccare emotivamente la persona che in quel momento la sta provando, “annullando” il contesto ambientale e portando la psiche a compiere dei veri e propri “viaggi mentali” che coinvolgono naturalmente anche i nostri sensi e il nostro equilibrio psico-fisico.

Esperimenti condotti dalla psicologa Constantine Sedikides dell’università di Southampton (1999), provano che la nostalgia può addirittura provocare beneficio: non solo riesce a combattere la solitudine e la depressione, ma presenta anche degli effetti fisiologici positivi, come per esempio l’aumento della temperatura corporea.

I ricordi nostalgici aiutano a rafforzare i legami sociali: pensiamo alle serate nelle quali si guardano delle vecchie foto o si raccontano esperienze memorabili vissute assieme.
Insomma, la nostalgia può essere un momento triste ma può anche provocare stati d’animo piacevoli e positivi.






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