«Quando ci si trova faccia a faccia con il male, si ha più che mai bisogno della minima particella di bene. Si tratta di fare in modo che la luce continui a risplendere nelle tenebre, e la vostra candela non ha senso se non nell’oscurità.»
(Jung – Lettera a padre Victor White, Oxford, 24 Novembre 1953)
Il timore che la maggior parte degli uomini normali prova di fronte alla voce interiore non è così infantile come potrebbe sembrare. I contenuti che si fanno incontro a una coscienza limitata non sono affatto innocui. In genere invece indicano il pericolo che specificamente minaccia l’uomo. Quel che la voce interiore ci sussurra è in genere qualcosa di negativo, anzi qualcosa di infame. Dev’essere così, soprattutto perché di solito si è meno inconsapevoli delle proprie virtù che dei propri vizi, e inoltre perché il bene ci fa soffrire meno del male. La voce interiore porta alla coscienza il male che affligge il tutto, cioè il popolo cui apparteniamo o l’umanità di cui siamo parte. Ma presenta questo male in forma individuale, sicchè in un primo momento si potrebbe pensare che tutto questo male sia solo una caratteristica dell’individuo. La voce interiore ci mostra il male in modo allettante e suasivo, per farci cadere in tentazione. Se non gli si cede neppure in parte, nulla di questo male apparente entra dentro di noi, e allora non può esserci neppure alcun rinnovamento, né alcuna rigenerazione. Se l’Io ubbidisce totalmente alla voce interiore, allora i suoi contenuti agiscono come se fossero altrettanti demoni, cioè succede una catastrofe. e invece l’Io ubbidisce solo parzialmente ed è in grado di affermare se stesso evitando di essere completamente fagocitato, allora può rendere propria la voce, e ne risulterà che il male era solo apparentemente tale, mentre in realtà reca salute e illuminazione. Il carattere della voce interiore è “luciferino” nel senso più proprio e più inequivocabile del termine, ed è per questo che pone l’uomo davanti alle decisioni morali ultime, senza le quali non potrebbe mai giungere alla coscienza di sé e acquisire personalità.
Nella voce interiore, l’infimo e il sommo, l’eccelso e l’abietto, verità e menzogna spesso si mescolano imperscrutabilmente, aprendo in no un abisso di confusione, di smarrimento e disperazione.
Incontri con ombre e luci dentro di noi. Ho spesso notato come anche la parte luce è quella da cui si rifugge più della parte oscura, e questo perchè entrambi le parti ti portano, trascinandoti, alla propria solitudine, quella da cui tutti, a diversi livelli rifuggiamo, infantili e illusi che i rumori del mondo e i suoi oggetti e dinamiche impermanenti (come direbbero gli orientali) possano in qualche modo riempire quel vuoto e compensare quel mancato incontro con se stessi. Ma nulla da fare, “tutto ciò che non accettiamo e non vogliamo sapere di noi stessi finisce sempre di giungerci dall’esterno con maggiore forza assumendo la forma di Destino” (Jung).
La concezione e la modalità con cui viviamo il MALE e il BENE è generativa della profondità e l’umanità con cui viviamo la vita stessa. Il semplicistico concetto rigidamente duale di “bene” e “male” come due entità contrapposte, ha generato, come la storia e la psicologia ci insegnano, le catastrofi e le malattie più grandi dell’intera storia umana. Bisogna guardare queste due forze (che alla fine è solo una che opera in due apparenti distinti travestimenti) con l’ottica dell’etica, non della morale: solo così l’uomo può iniziare a rendersi conto che molto spesso quel “male” che opera è in realtà in vista di un equilibrio o addirittura di un “bene” non da subito visibile, ma intuibile. Qui non significa trovare una giustificazione del “male” vero e proprio; il male resta sempre e comunque male, e guai ad essere relativisti. Significa invece includere il male come parte integrante della vita e accettarlo pienamente. La medicina e la psicologia ci insegnano – grazie alle scoperte sull’uomo partite da Jung – che in realtà è proprio dal male che proviene la luce. La saggezza dei millenni ce lo esprime anche nel simbolo orientale del “Taijitu” (yin e yang = maschile e femminile; bene e male). Quando facciamo nostra una morale basata sul semplicistico concetto che include la formula “combattere il male” diventiamo pericolosi per il nostro prossimo e per noi stessi. Il male, come ci insegna ogni tradizione di saggezza antica, incluso Gesù Cristo, non va combattuto nè tantomeno eliminato: esso è parte integrante e necessaria della vita stessa.
Come ci lascia scritto “l’oscuro” Eraclito:
«Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco, quando si mescola ai profumi e prende nome dall’aroma di ognuno di essi.»
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