Il saluto è un atto, costituito da un gesto, accompagnato per lo più da parole che si scambia con una persona nel momento in cui la si incontra o quando si prende commiato da lei, per manifestare rispetto, affetto, simpatia, devozione, sottomissione.
In alcuni casi il saluto è regolamentato in maniera rigida. Per esempio nel saluto militare o nei cerimoniali di saluto ad autorità elevate come re o imperatori. Le società segrete possono avere modalità di saluto convenzionali, ignote ai non iniziati, per permettere ai membri di riconoscersi tra loro.
Nello stile epistolare, in assenza delle potenzialità comunicative del gesto, le formule di saluto sono in genere piuttosto formalizzate e diversificate per mettere ben in chiaro fin dall'inizio il tipo di rapporto intercorrente tra mittente e destinatario. Tipico è l'incipit con caro… (ma in situazioni altamente formali si ha anche illustre, egregio ecc.), mentre molte formule di commiato sono in uso solo nello scritto e mai nel parlato (ad esempio Distinti saluti).
Spesso alcuni termini usati nei saluti vengono adottati da culture diverse da quelle di origine. È il caso, per esempio, delle espressioni informali hello (inglese) o ciao dell'italiano, adottate in molte lingue del mondo. Anche ave!, formula di saluto dell'antica Roma, è in realtà una parola mutuata dalla lingua di Cartagine. Nel Poenulus di Plauto si trova l'espressione avo, che è il saluto al plurale ("vivete!"). Le prime attestazioni di ave ("vivi!", al singolare) si hanno in Cicerone e Catullo.
Nell’antica Roma la salutatio matutina («saluto mattutino») era quello che i clienti porgevano al loro patrono, con le parole Ave domine, Ave rex. Il saluto, che nella civiltà moderna è una pura formalità di cortesia, rivela tuttavia un’origine religiosa. Dal punto di vista formale è una formula, mentre il suo contenuto è spesso un augurio (per es., «buongiorno»; in greco, χαῖρε, «sii lieto»), il che presuppone che in origine si credesse nella sua efficacia di formula magica. Altri tipi di saluto assumono la forma di una benedizione religiosa, ricorrendo al nome di Dio (addio,adieu, Grüssgott, good-bye che è contrazione di God be with you «Dio sia con te»). Le origini di questo tipo di saluto-benedizione si possono seguire fino alla prima dinastia babilonese, in un documento privato che contiene il saluto, «che Shamash e Marduk ti facciano vivere». Lo stesso significato di benedizione ha la formula di saluto presso gli antichi Ebrei (shalom: «pace!») e gli Arabi (salām ‛alaik: «pace su di te!»). Presso altre popolazioni il saluto è strettamente legato al senso del timore provato verso lo straniero, perché ogni estraneo al gruppo è potenzialmente nemico e avvicinarlo rappresenta sempre un pericolo. Il saluto non consiste solo in parole: la formula, com’è frequente nelle religioni, è accompagnata da gesti. Nel mondo moderno questi gesti sono l’inchino, l’atto di levarsi il cappello, o un contatto fisico (stretta di mano, bacio alla mano, abbraccio, bacio), e presentano tutti un’origine antica. I gesti di ‘autoumiliazione’, come l’inchino, possono risalire all’intento di dare all’altro assicurazione della propria innocuità; ma spesso derivano invece da una generalizzazione delle forme di venerazione dovute al re divino. Il contatto fisico, di cui si hanno varie forme, suggella definitivamente il bando di ogni diffidenza e stabilisce una specie di comunione tra le parti.
Nelle forze armate il saluto militare è eseguito di norma portando la mano destra distesa alla visiera del berretto. Nella marina, tra navi mercantili e militari in mare è in uso il saluto con le sirene o quello con la bandiera (abbassando e rialzando la bandiera nazionale); il saluto con le artiglierie (sparando un determinato numero – sempre dispari, e al massimo 21 – di colpi a salve) si esegue in onore di autorità o all’arrivo in un porto estero, il saluto alla voce (lanciando tre volte un grido di omaggio da parte dell’equipaggio schierato in parata sull’alberatura e sui ponti scoperti) in onore di capi di Stato, o dell’ammiraglio all’atto della cessione o assunzione del comando.
Il saluto, espressione di cortesia o di deferenza, non si deve limitare ad un semplice buongiorno, buonasera…, ma richiede un adeguato, convincente atteggiamento complessivo, guardando sempre in volto la persona. Nel contempo, va contenuto tra le persone che ne sono oggetto, non rendendo partecipi gli astanti.
Con il saluto si intende tranquillizzare l'altra persona. Nell'antichità, alzando il lembo della tunica che copriva il capo (da qui il successivo gesto di togliersi il cappello). Poi porgendo la mano, evidenziando con questo gesto che la stessa non era armata.
La stretta di mano, accettazione dell'altra persona durante la presentazione, deve avvenire senza indugi che potrebbero procurare imbarazzo e senza "violenza" in quanto non trattasi di una prova di forza. Alla persona di riguardo spetta la prima mossa, l'accettazione, o meno. Precedenza che vale anche per la donna nei confronti dell'uomo.
Per strada, o in un luogo pubblico, il signore stile (impeccabile), incontrando una signora o una persona di riguardo, accenna al saluto inclinando leggermente il busto. Se porta il cappello, lo solleva leggermente.
Entrando in un qualsivoglia ambiente, i saluti vanno a tutti i presenti, con precedenza alle persone già conosciute. Salutati da un signore, tutti gli uomini si alzano, sempre e comunque. Anche le giovani ragazze si alzano. Non così le signore, ivi comprese le donne che hanno acquisito questa "etichetta". Salutati da una signora, si alzano tutti gli uomini, le giovani ragazze, nonché le amiche più giovani.
Un uomo, entrando in un luogo ove vi siano più persone, anche sconosciute, fa un leggero inchino, quindi va a salutare la padrona di casa, quindi il consorte di questa. Quindi saluta i presenti secondo l'ordine che gli viene più comodo e senza distinzione di sesso o di età. La propria moglie, se presente, va lasciata per ultima e senza espansione eccessive. Il visitatore prende quindi posto dove predisposto dalla padrona di casa.
Al ristorante, in compagnia, riconoscendo ad un tavolo dei conoscenti, si salutano solo con un cenno. Sostando, trattandosi di conoscenze comuni, gli uomini di quel tavolo si alzano mentre le donne ne sono esentate.
Il baciamano va fatto sollevando la mano della signora fino a sfiorarla con le labbra. Comunque mai per strada, sulla spiaggia, al bar, in ufficio. E mai una mano inguantata.
L'inno nazionale, proprio o straniero, richiede rispetto. L'ossequio si esprime alzandosi in piedi e togliendosi il cappello (solo gli uomini).
Il saluto romano - doveroso per i fascisti - è il saluto più igienico che sia mai esistito. Va eseguito con rapidità ed energia. È ridicolo farlo seguire dalla stretta di mano…» raccomandano nel 1032 Alma Ruffo Lanceri e Riccardo Galluppi, autori di «Le moderne usanze».
Negli incontri fugaci è sufficiente un semplice Buongiorno, Buonasera o Buonanotte, a seconda del momento della giornata. Ma, prevedendo di fermarsi a conversare, al saluto si aggiunge anche signor o signora. Facendo seguire anche il cognome, se ricordato.
Il più frequente interrogativo sulla scelta dei vari buon... è per lo più determinata dalla latitudine e dall’uso locali. A Milano con il buongiorno si saluta dal mattino al tramonto; diversamente a Roma già dopo il pranzo del mezzogiorno si augura buona sera.
In linea generale, quindi:
- Buongiorno, formula di saluto e di augurio che si usa al mattino (certamente) e nel primo pomeriggio (a seconda delle zone)
- Buonasera, formula di saluto e di augurio che si usa al pomeriggio e alla sera.
- Buona notte, formula di saluto e di augurio che si scambia a tarda sera prima di andare a dormire.
Sono tutte formule di saluto e, primariamente, di augurio. E su questo secondo aspetto si dovrebbe insistere. O meglio; si dovrebbe recuperare. Infatti il saluto era primariamente augurale. Oggi è più che altro una formalità.
L’espressione “il buongiorno si vede dal mattino”, non sta ad indicare una previsione astronomica, ma che il carattere della persona si riconosce dalle prime manifestazioni. Tanto vale iniziare proprio da un convincente e convinto saluto che, ben espresso, diventa appunto augurio.
Una formula di saluto amichevole, confidenziale, divenuta di uso internazionale è il ciao. Espressione di saluto tra intimi e amici, anche in questo caso non va gridato da un marciapiede all'altro, ma bensì contenuto tra le persone che ne sono oggetto. Ha origini venete: s-ciao (o s-ciavo per altri testi) ad indicare: sono tuo schiavo.
Il ciao sottintende il tu, che si ricambia con persone dello stesso ambiente. L'anzianità, il peso professionale e sociale, dovrebbero porre un freno al dilagare del «tu». Se è vero che al «tu» e al «lei» ci si deve adeguare prontamente - ovvero rispondere con la stessa forma -, al tu che viene da persone anziane, da personaggi importanti, da professori, si risponde con il «lei».
Per Giovanni Della Casa, autore del “Galateo” a metà del Cinquecento, il tu era per poltroni e contadini: «Chi dice "Voi" ad un solo, pur che colui non sia d'infima condizione, di niente gli è cortese del suo: anzi se egli dicesse "Tu", gli torrebbe di quello di lui e farebbegli oltraggio ed ingiuria, nominandolo con quella parola, con la quale è usanza di nominare i poltroni (gente del volgo) ed i contadini».
In anni a noi più prossimi, Anna Vertua Gentile, autrice di «Come devo comportarmi?», il testo più ‘gettonato’ agli inizi del 1900, si preoccupa che la familiarità di parole influisca negativamente sui riguardi: «Il "tu", espressione quasi sempre di affetto e di amicizia, qualche volta vuol dire, alterigia e prepotenza. Ora io credo per fermo, che il linguaggio influisca sulle abitudini e che la troppa familiarità di parole, finisca per tradursi in mancanza di riguardi».
La scrittrice Matilde Serao, importante ‘penna’ negli anni Venti raccomanda poi alla signorina di utilizzare il tu solo «il tu a fratelli e nipoti. La signorina dà sempre del lei agli uomini, vecchi e giovani; alle signore di grandi rispetto, anche il lei. Del tu solo, come uomini, ai fratelli e nipoti. Infine, il riserbo unito all'amabilità e alla buona grazia, ecco quello che deve essere il contegno di una signorina, a sedici anni, in pubblico e in privato».
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