Un "mi piace" a una cosa che abbiamo pubblicato su Facebook ci fa sentire felici ed esaltati. Alcuni studi hanno mostrato che quando pubblichiamo qualcosa sui social non solo avviene un rilascio di dopamina, ma un'area del cervello, chiamata nucleus accumbens, si attiva secondo le stesse modalità di quando pensiamo a cose piacevoli come il sesso, il cibo e i soldi. La nostra rete di interazioni sociali sintetiche, la nostra finta realizzazione personale e l'illusione di essere popolari scatenano questa reazione—una specie di dipendenza—lasciandoci poi con il bisogno di ottenere ulteriori pollici in su digitali.
La maggior parte di questi "mi piace" sono una farsa: vogliono addirittura dire "mi fa schifo". Ci sono persone a cui di voi non frega poi tanto, ma che si sentono obbligate a convincervi del contrario.
Ogni tanto vi compaiono nella home dei post tanto imbarazzanti che non potete fare a meno di mettere "mi piace." La persona che li pubblica dovrebbe ricevere un premio per il contributo che presta alla stupidità del mondo. Il caso classico è quello dell'idiota che pubblica le sue lamentele non richieste sulle persone di cui si circonda. Parla di un luogo dove non esiste il perdono, dove la "fiducia" e la "lealtà" sono valute instabili e i "veri amici" sono sempre meno ogni giorno che passa. Chi gli fa notare l'abisso di stupidità in cui nuota viene liquidato come "hater."
Vedere con i propri occhi che al mondo esistono persone del genere può farvi bene. Magari non a livello assoluto, ma su un piano più personale. Anche nei vostri momenti peggiori, quando sarete rossi di vergogna e avrete sospeso ogni giudizio morale su quello che vi circonda, sarete sempre meglio di lui. O di lei. Quindi sì, effettivamente state mettendo "mi piace" al fatto di essere una persona un tantino migliore.
Molto spesso, mettendo "mi piace" facciamo le veci dei nostri genitali. Insieme all'atto dei "preferiti" su Twitter, è il modo più facile e meno impegnativo per far capire a una persona che siamo interessati. Un tempo, per questo su Facebook c'era la funzione "poke," che esiste ancora oggi anche se la usa solo quel tuo amico che ogni volta che manda un poke ride per dieci minuti. Adesso il più blando "mi piace" può essere usato per mettere in moto una serie di eventi, la cui conclusione può tradursi o meno in azioni estremamente pratiche.
Se nella foto c'è anche un'altra persona che non è amica del soggetto, l'intenzione dietro al "mi piace" è molto esplicita. Chiunque abbia una relazione sa che almeno una volta al mese c'è una crisi dovuta al fatto che uno dei due pensa che ci sia qualcuno che vuole sottrargli l'amato. Ricordate: gli amici non permettono che il numero di "mi piace" alla foto profilo di un amico resti basso.
Se siete troppo discreti ed educati per una dichiarazione tanto esplicita, potete aggirare il problema e provare a lanciare i vostri segnali mettendo "mi piace" alle foto in cui la persona è taggata. Oppure potete mettere "mi piace" a una foto di qualcosa di divertente, o a una in cui le persone fotografate non sono vistosamente in posa. In questo modo il vostro intento diventa molto più ambiguo e misterioso. State dicendo una cosa tipo, Ciao, mi piace il fatto che tu ti stia divertendo. E forse, magari, vorrei anche fare sesso con te. Questo vale solo per le foto che vi appaiono in bacheca, ovviamente. Non vorreste mai che l'altra persona pensi che la state spiando, e che dedicate tutta la pausa pranzo a osservare le foto che ha pubblicato negli ultimi otto anni.
Per un approccio ancora più sottile e sofisticato, potete mettere "mi piace" a uno stato in cui la persona racconta uno dei suoi ultimi successi, o a una canzone che ha pubblicato. Così facendo, lancereste il segnale che a voi e a quella persona piace la stessa musica (e che forse ve la fareste) o che siete felici per come è andato il suo ultimo esame (e che forse ve la fareste). C'è un messaggio nascosto anche nel mettere "mi piace" a un video di gattini.
I contenuti di qualità sono e rimarranno la cosa più importante su Instagram (così come sugli altri social). Sono il primo requisito per fare davvero la differenza. Eppure, non possiamo fare a meno di chiederci se esistano altri piccoli accorgimenti che possano contribuire al successo del nostro profilo, portandoci ad aumentare follower e like.
Il primo segreto per ottenere più follower e like su Instagram è anche il più semplice e apparentemente banale.
Ricevere commenti, condivisioni e like quando scriviamo un post è per noi tutti motivo di piacere, di appagamento della nostra innata voglia di protagonismo e consenso sociale.
In rete è facile trovare centinaia di articoli su come aumentare la propria popolarità sui social. Ci sono anche agenzie di marketing che vendono pacchetti di like.
Ci sono poi utenti che sfruttano questo circolo con intelligenza per curare la loro immagine a fini professionali, fino a costruirci un lavoro vero e proprio. Sono i cosiddetti influencer, persone considerate esperte su alcuni ambiti di loro competenza e che godono dell’ammirazione, della stima e della fiducia di migliaia di altri utenti. In realtà quella dell’influencer non è una novità. Già nel secolo scorso i sociologi, che studiavano gli effetti della comunicazione di massa sugli individui, avevano individuato nell’opinion leader colui che riusciva a condizionare gli altri. Oggi l’opinione degli influencer conta così tanto da influenzare il pensiero e finanche i comportamenti, nonché gli acquisti, di tanti altri utenti che li seguono.
Alla luce di quanto detto non deve stupire, quindi, un’altra dinamica sociale tipica dei giovani, come l’irresistibile voglia ad uniformarsi. Dall’osservazione fatta i ricercatori si sono accorti che i ragazzi sono più propensi a dire “mi piace” se molti coetanei lo hanno già fatto. Anche in questo caso non si tratta di nulla di nuovo per gli scienziati sociali. È questo un fenomeno conosciuto già da molto tempo prima dell’avvento dei social network. Senza ricorrere alle teorie sulla psicologia delle folle, elaborate nella prima metà del ‘900, (secondo cui tante persone riunite in un ambiente circoscritto tendono ad adottare comportamenti simili) basterà ricordare quando da ragazzi seguivamo le mode del momento solo perché lo facevano anche i nostri coetanei. «Nello studio i ragazzi rispondevano alle scelte espresse da un gruppo di estranei virtuali e la volontà di conformarsi si è manifestata sia a livello cerebrale che nella scelta pratica di ciò che piace o meno», riflette Mirella Dapretto, docente di psichiatria e scienze comportamentali all’Ucla e autrice dello studio. «Possiamo aspettarci – aggiunge – che questo effetto sia amplificato nella vita reale, quando i teenager si relazionano a persone importanti per loro». Ecco riproporsi la famosa questione sulla valenza educativa dei mezzi di comunicazione. Parafrasando il titolo del celebre saggio sulla televisione di Karl R. Popper potremmo chiederci: Cattivi maestri social? Tutto, ovviamente, dipende da come si utilizzano. «Se gli “amici” social mostrano comportamenti virtuosi – spiega l’altra autrice Patricia Greenfield, direttrice del Children’s Digital Media Center dell’Ucla – anche la condotta dei figli verrà influenzata in questa direzione. È dunque importante che i genitori sappiano con chi interagiscono i loro ragazzi e il tipo di contenuti che questi coetanei stanno condividendo o apprezzando».
Alcuni “mi piace”, puntualizzano i ricercatori, nascondono delle insidie molto pericolose, che comportano nei ragazzi l’allentamento dei “freni mentali”. Nello studio i teenager sono stati messi di fronte a foto neutrali e a foto rischiose (persone con sigarette, alcol o abiti provocanti). Un dato comportamentale confermato anche a livello dell’attività cerebrale, con una minore attivazione delle aree associate al controllo cognitivo e all’inibizione della risposta.
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